lunedì 23 aprile 2012

Un sabato di ordinario prearmo

L'inizio dell'avvicinamento stavolta è una plumbea galleria, una delle tante che costellano l'arditissima strada provinciale che si inerpica dalla pedemontana Arsiero fino alle nude e bellicose rocce dell'Altopiano dei Fiorentini. 

Il sentiero si dipana ai lati della strada, c'è ancora neve per terra, tentiamo di seguire le orme del capogita Mauro, l'unico (per un caso fortuito a suo dire) ad avere gli stivali; in capo a pochi minuti siamo tutti con i piedi fradici, Mauro compreso.


Gli attrezzi ballonzolano appesi all'imbrago, fornendo una metallica colonna sonora alla nostra marcia, che di trionfale ha ben poco: siamo in vergognoso ritardo, complice la colazione venezuelana offertaci da Winder e il tappo della benzina che ha deciso di prendere il volo dopo essere stato lasciato sul tetto della macchina; guardo con bramosia verso la vicina Folgaria, darei un rene per poter essere lì a farmi un'ultima sciata, mi concedo comunque un sogghigno beffardo al pensiero di tutti quei personaggi che, al posto di godersi la natura, vanno a rinchiudersi nei centri commerciali. Raggiungiamo l'ingresso della grotta e diamo inizio al rituale dell'armo fatto di corde, sacchi, moschettoni ed eresie, queste ultime spesso determinanti per una buona riuscita dell'operazione; srotoliamo una matassa, mettiamo anelli, avvitiamo piastrine, Winder e Mauro fanno guide e conigli. Vista la mia manualità da tetraplegico, mi astengo dal fare nodi, un giorno forse il corso si trasformerà da “corso di introduzione alla speleologia” a “corso di introduzione al suicidio” e quando verrà quel momento la mia opera verrà non solo apprezzata, ma addirittura richiesta a gran voce.


Vado a rannicchiarmi in un angolo come l'ultimo degli stronzi, la grotta, vista la quota, è piuttosto fredda, lo stillicidio e la forzata immobilità fanno il resto. Tanto per aggiungere un carico da undici alla mia condizione miserabile, ed affossarmi ulteriormente nell'autocommiserazione spengo anche l'impianto, anche perché a batterie sono ai piedi di cristo; da un angolo della mia mente si fa strada una voce sorniona che sussurra: “chi è lo sfigato adesso? Quello al centro commerciale?”. Scendo il pozzo da trenta, per la prima volta nella mia biennale carriera di speleologo sono felice al pensiero di dovermi fare una risalita nel vuoto: viste le temperature ogni sforzo fisico è ben accetto, e per me salire un pozzo nel vuoto è l'equivalente della maratona di New York fatta a piedi scalzi a ferragosto.


Alla fine del pozzo i miei due compagni di masochismo sono già alle prese con la sfida successiva, mentre sto ancora tentanto di sbarazzarmi del sacco con la corda che mi sta castrando, il capospedizione Mauro mi intima di fare una bambolina con la corda avanzata: eseguo alla meno peggio, non osando pensare alle bestemmie che tirerà il disgraziato che dovrà disarmare domani. Un altro pozzetto e siamo quasi in fondo: l'aborrito 45 finale, passo la corda a Mauro, Winder sta già finendo la sua campata e io me ne torno indietro, l'armo è finito e di scendere il 45 per poi doverlo subito risalire non se ne parla nemmeno, piuttosto vado ad urinare, visto che ho la vescica ridotta ad un gavettone, tanto per non essere volgare.




Attendo che tornino su i miei fedeli consociati, ed iniziamo il percorso inverso, Mauro non manca di polemizzare schernendomi con canzonacce politicamente schierate mentre pedalo forsennatamente per sottrarmi alle sue invettive. Come spesso accade usciamo prima del previsto, c'è ancora luce, ed il senso di appagamento è totale: impossibile spiegare a chi non ha passato ore (o giorni) nelle interiora di una montagna cosa si prova una volta fuori, con le endorfine che ruggiscono impazzite, e gli occhi che corrono avidi verso panorami che definire meravigliosi è riduttivo. Il momento contemplativo è finito: al grido di battaglia “boia can” emerge Mauro in tutto il suo fulgore ipogeo, cincischiamo ancora qualche attimo, il tempo di avvisare il CNSAS che oggi avranno un intervento in meno da fare, e ci incamminiamo verso la macchina.

Vipera