mercoledì 19 ottobre 2011

UN'AGGHIACCIANTE DOMENICA


Foto: Francesco Sauro Buso della neve di Zingarella
La sveglia suona impietosa alle sei un quarto, destandomi e spingendomi ad infelici pensieri del tipo “quanto stronzo devo essere per svegliarmi ad un orario del genere di domenica?”, ai posteri l'ardua sentenza. In gruppo trovo l'esimio Dottor Sauro e sua eminenza Jean Pierre (per comodità da adesso in poi li chiamerò “gli amorevoli uzbeki”) che mi rendono edotto sul fatto di essere appena arrivati; precisazione superflua, non mi sarei mai azzardato a pensare che potessero arrivare puntuali. Confabulando e con espressioni corrucciate i due prelevano nell'incerta luce dell'alba quattro sacchi (dei quali uno, scelta veramente felice, si rivelerà senza uno spallaccio), li riempiono di corde e mi intimano di salire nella macchina del presidente, dove trovo la Martina che sonnecchia beatamente; alle sette e tre quarti ci dirigiamo verso quell'ameno luogo di villeggiatura dai più chiamato con il roboante nome di “Altopiano dei Sette comuni”.

La nostra meta è il Buso della neve di Zingarella, per raggiungere il quale siamo costretti a percorrere silenti sterrate circondate da mistiche conifere, dove nemmeno il più ardito dei fungaioli osa mietere il suo micotico raccolto; i pochi minuti residui di avvicinamento diventano da subito una vera e propria via crucis per il sottoscritto che, ascoltando le fuorvianti direttive di JP ha lo zaino carico di roba perché, a suo dire, “farà molto freddo”. Fa talmente freddo che una felpa basta e avanza ed il sole che illumina lo stupendo scenario che ci fa da cornice ha ben poco di autunnale; procedo tra bestemmie smozzicate, momenti di pesante autocommiserazione e dubbi esistenziali: in grotta non ci vado da maggio e la recente svolta vegetariana potrebbe avere risvolti poco simpatici sulle mie prestazioni fisiche.

Scendiamo per un sassoso sentiero fino all'imboccatura dell'abisso, tra una pietra e l'altra occhieggia qualche reperto rugginoso, come per rammentarci che qui, dove noi oggi ce la ridiamo, poco meno di un secolo fa i nostri coetanei ci morivano. Salutiamo la Roberta, che per cause di forza maggiore non può unirsi a noi, pochi metri e siamo sul fondo, attorniati da torreggianti pareti di roccia friabile, sotto ai nostri piedi uno (si spera) spesso strato di ghiaccio che con grande cortesia ci lascia uno spiraglio per permetterci di scendere in grotta. Da insondabili abissi arriva l'aggraziata voce di Francesco che sbraita di muoverci visto che sta gelando, scende JP, dà il libera, è arrivato il mio turno mollo il discensore e comincio a calarmi in un ambiente che avevo visto solamente nelle foto di repertorio: le familiari rocce sono coperte di neve ghiacciata, neve che probabilmente è lì dai tempi in cui ai miei genitori nemmeno passava per la testa di mettermi in cantiere, e fa decisamente più freddo del solito.

Arrivo in salone, accolto dagli arcigni amorevoli uzbeki e dopo poco arriva anche la Martina, la sala è ammaliante, quasi ipnotica: una scarpata di neve a metà della quale si erge una maestosa colonna di ghiaccio, concrezioni dello stesso materiale e Francesco che ne approfitta per farci fare le belle statuine e scattare foto con tanto di imprecazioni verso il dispettoso apparecchio fotografico. Il tempo stringe ed il clima poco invitante ci incalzano, su invito di JP mi ficco personalmente in un cunicolo dal pavimento ghiacciato per sincerarmi che non vada da nessuna parte, dal quale ne esco incastrandomi, perdendo la sensibilità nelle mani ed inzuppandomi completamente, il tutto sotto lo sguardo sornione del caro presidente. Dall'altra parte Francesco ha trovato il pozzo, come al solito di lui abbiamo solamente vaghe e preoccupanti testimonianze che arrivano da qualche metro più in basso, la partenza è molto incoraggiante: una lastra di ghiaccio ne copre il fondo e per evitare di uccidermi devo puntare i piedi contro gli scarponi ramponati di JP (che nel frattempo mi canzona).

Scendiamo ancora: il pozzo è ghiacciato e molto stretto, il sacco si impiglia, cominciano le mie consuete conversazioni ipogee con l'elemento divino, passo il frazionamento, il pozzo si allarga un pochettino, finisco tanto per cambiare nella neve. Siamo alle battute finali: c'è un pozzo da 50 e poi la grotta sembrerebbe chiudere, orologi non ne abbiamo ed a questo punto gli unici due eletti che scenderanno fino in fondo saranno gli amorevoli uzbeki, la Martina farà un pezzo tanto per dare un'occhiata ed io nel frattempo risalirò: accolgo la notizia con sollievo, non sono certo veloce a fare i pozzi e per oggi basta e avanza.

Torno su piano piano, arrivo alla strettissima partenza del pozzo, dopo ripetuti sforzi e contorcimenti grotteschi (nel vero senso della parola!) riesco a passare, torno in salone, risalgo la scarpata e nei pressi del primo pozzo sento ansimare dietro di me, chiamo “Martina” due, tre volte e ricevo come unica risposta lo stesso inquietante ansimare. Quando ormai si stanno per concretizzare scenari paranormali la dolce signor(in)a Schiavinotto finalmente si degna di rispondermi, facendomi passare dal timore verso l'ignoto alla vereconda consapevolezza di essere, per dirla con un eufemismo, lento nella progressione. Mal comune mezzo gaudio: il tempo di uscire assieme (la cengia iniziale scarica terribilmente) ed emerge Francesco; il suo ghigno animalesco, villoso e malefico (considerando che ha anche fatto in tempo a disarmare, assieme al suo degno compare JP) sembra suggerirmi che forse è meglio se mi dedico alle bocce.
Vipera..

giovedì 6 ottobre 2011

CAPITOLO 3 - CLANDESTINI DIRETTI IN AFGHANISTAN




Reference: -La Venta-Explorazioni Geografiche
La mattina ci concediamo un'ottima  colazione a base di colesterolo. Due uova cotte in 6 o 7 litri di burro fuso, pane con burro, anguria con burro, burro con burro, ecc. diluendo tutto con del chyai. Approfittiamo delle ore successive per riordinare con calma il materiale, e riprenderci dalla colazione. A pomeriggio inoltrato un pullman si ferma sulla strada antistante la locanda, un'orda di vichinghi ne discende e si dirige con solennità verso il portone. In pochi minuti possiamo stringere la mano a Vadim, il capo spedizione: i russi sono arrivati.  Sono in 19 di cui 5 donne, alcuni sono giovanissimi, altri signori con qualche anno in più possiedono un viso scavato dalla fatica e dagli stenti, mentre le rimanenti 7-8 persone sono esattamente come immaginavo nei miei voli di fantasia: dei colossi  con un “non sò chè” di indistruttibile e un sguardo torvo stampato in faccia. Vadim il loro leader sfiora i due metri d'altezza ed è uno dei pochi con cui riusciamo a scambiare qualche timida parola d'inglese. Ci informa che la sera e parte della mattinata di domani saranno necessarie per ottenere i permessi, mentre già nella nottata successiva sarà possibile spostarsi in jeep verso l'ultima zona abitata prima di Boysun Tau: il villaggio di Sha-Tut.

Reference: -La Venta-Explorazioni Geografiche
Spendiamo la giornata a conoscere i nostri nuovi compagni di viaggio, lentamente, studiandoci a vicenda, cercando punti in comune sulle nostre passioni, sul nostro modo di andare in grotta. Ci mostriamo vicendevolmente i materiali, loro sono in possesso di 50 sacchi da speleo pieni di ogni sorta di oggetti utili per la spedizione; formano nel cortile una specie di muraglia arancione e grottesca.  I più invasati tra loro si scatenano in prove di forza, arrampicandosi sulle pareti della locanda. Scansiamo abilmente  il loro invito a partecipare a queste gare, evitando così di coprirci di ridicolo sin dall'inizio. Alcuni ragazzi sono veramente impressionanti, uno in particolare si chiama Misha, robusto e agile, allo stesso tempo furbo e reattivo, zompetta tra le ringhiere e le finestre dell'edificio come una splendida blatta. Spesso cerca di conversare con noi, curiosissimo  delle nostre tecniche e attrezzature, inizia subito ad imparare qualche parola di italiano per comunicare; le classiche parole speleo: libera, sasso, moschettone, corda, ecc..


La cena è nello stesso posto del giorno precedente, quello del famigerato Passakalowsky. Furbamente e russamente, i nostri spietati compagni decidono di percorrere 5 chilometri di marcia a piedi verso il ristorante, evitando di chiamare il taxi. Arriviamo dopo 40 affamati minuti ad una rovente zuppa di carne. La cosa più impressionante di quel ristorantino è il bagno, una sorta di fossa moscosa in un campo, a quasi 500 metri dal ristorante. Attraverso le cucine seguendo un bambino-cameriere, vago nell'oscurità di un cortile sabbioso, circondato da un’alta e cadente cinta di mura. Il ragazzino mi invita a seguirlo ancora attraverso un buco nel muro. Entriamo nel campo del vicino che mi guarda come se avesse visto un'apparizione di Allah. Certo, i miei vestiti e il colore della mia pelle forse sono un po’ fuori luogo nel suo campo. Dopo un altro paio di cortili arrivo finalmente a questa fossa pestilenziale. Ovviamente, sentendo già le mie vaccinazioni in subbuglio, faccio i miei bisogni da tutt'altra parte, a ridosso di un edificio. Ri-ovviamente in quel momento ne fuoriesce il proprietario a cui la scena appare talmente insolita che non osa proferire parola e si allontana quatto quatto, fissandomi e senza darmi le spalle.

Nel frattempo la vodka abbonda al nostro tavolo, e i russi appaiono sempre più sciolti ed affabili. I ricordi svaniscono. Una lunga camminata di ritorno. Gente urlante. Il salotto di Salim colmo di energumeni esagitati. Io, Francesco e Alessio improvvisiamo lunghi discorsi in russo: alticci di fronte ad un pubblico alticcio. Il padrone di casa ringhia la sua proposta di fare meno frastuono. Queste persone sembrano di colpo così familiari, sembrano amici ritrovati dopo secoli di distanza, in fortissimo contrasto con i freddi sguardi indagatori di quando poche ore prima, gli abbiamo stretto la mano per la prima volta.



Reference: -La Venta-Explorazioni Geografiche
La mattina dell'indomani tutti ritornano seri e risoluti, freddi e poco comunicativi. Sembra impossibile di aver vissuto la sera precedente con le stesse persone. Prepariamo le ultima cose per la salita, parte dei russi è alla stazione di polizia per i permessi. Ci rechiamo a pranzo, in un nuovo ristorante che intuiamo avrebbe messo alla prova i nostri intestini. Piscine di acqua putrida in mezzo al giardino estivo ammantato di tap-chang,  tutto sà di kerosene, salviette, pane, acqua, arrosticini... forse hanno dei problemi con la stufa. O forse di tanto in tanto è tradizione innaffiare la dispensa del ristorante con del gasolio. Il servizio è meraviglioso, quasi surreale. Vedo un baffuto avventore domandare un bicchiere d'acqua. Il cameriere, con eleganza, riempie un boccale usato preso da un tavolo, su una fontana  verdastra del giardino e lo fornisce prontamente al cliente. Prima però ne beve metà (credo che sia una sorta di decima che applicano i camerieri uzbeki su ciò che servono, poiché l’ho visto fare in più di un’occasione).

Saggiamente, per non farci attendere troppo, ci vengono portate in tavola delle stoviglie già usate da altri, talmente sporche e inavvicinabili che credo onestamente che il nostro utilizzo le abbia pulite. Francesco è vittima di un'esplosione intestinale quasi istantanea, e si fionda nei servizi poco distanti. Tornerà dopo un paio di minuti, con il viso pallido e smunto. Sembra che sia rimasto traumatizzato dalla visione del bagno di quel ristorante, guarendo improvvisamente dalla dissenteria,  e subendo tuttavia dei danni psicologici di una certa entità, riconoscibili ancora oggi qualora aveste la “fortuna” di incontrarlo.

Reference: -La Venta-Explorazioni Geografiche
Ci allontaniamo dall'inferno a pranzo ultimato, imbocchiamo la via centrale punteggiata da negozietti d'ogni genere, bancarelle di quaderni e penne per la scuola, qualche piccola bottega di artigiani; alcuni venditori, di fronte alle loro cataste di eternit, consigliano ai passanti un modo "furbo" di farsi il tetto della casa con quelle lastre portentos. Vaghiamo nel mercato di Boysun, stormi di uzbeki ci osservano curiosi, tra le piramidi di meloni gialli e  le angurie paffute; zucchero in cristalli, ciambelle di pane, vestiti di seta, vecchi che pestano il pepe con delle grosse pietre, cortelli forgiati a mano. Sembra di essersi risvegliati in un altro universo. Vorrei passare il resto della vita ad osservare i vestiti sgargianti delle donne, la gente che contratta un tozzo di pane, la frutta al sole. Un paio di ragazzini si azzuffano per chissà quale motivo, mentre una folla accorre a dividerli ci infiliamo nel mercato coperto. Mastichiamo una manciata di strane sementi offerte da un negoziante e restiamo incantati a guardare i quarti di carne appena macellati esposti su un tavolaccio polveroso. Lentamente, con gli occhi straripanti di immagini, torniamo sui nostri passi.

Siamo alla locanda, sono le 6 di sera, arriva un ragazzo russo, ci spiega che dobbiamo precipitarci alla stazione di polizia. Senza porci troppe domande  andiamo velocemente nella caserma poco distante. Incontriamo Vadim; con voce calma ma turbata, racconta che per le persone di cittadinanza russa non ci sono problemi relativi ai permessi, per gli europei è invece necessario un timbro sul passaporto ogni 3 giorni, da parte di una struttura alberghiera riconosciuta. I nostri amici speravano di riuscire a pagarci un permesso valido 20 giorni , ma sembra che per una misteriosa legge appena entrata in vigore, a Boysun questo non sia possibile. Anzi, la locanda di Salim non è nemmeno abilitatà a validare la nostra registrazione di 3 giorni. Il risultato è poco entusiasmante: essendo ormai le 8 di sera del nostro terzo giorno in Uzbekistan, noi 3 italiani diventeremo clandestini in quel paese tra 4 ore esatte. Una prospettiva non proprio rosea considerando la quantità di forze di polizia presenti in ogniddove e la perizia ossessiva che queste usano nei loro controlli . 
Reference: -La Venta-Explorazioni Geografiche

Mentre davamo grosse testate sul muro della centrale per farci venire qualche idea, in modo improvviso e anche un pò sospetto, compare un tassista cicciotto di nome Kalim. Sembra sapere già le nostre paturnie burocratiche e si presenta come la soluzione ad ogni nostro problema. Ci spiega che la centrale di Boysun non è autorizzata a rilasciare il permesso di permanenza lungo, “ma lui”, con le sue conoscenze a Termiz, potrebbe fare al caso nostro. Termiz è una città situata più a sud, in una penisola di terra circondata dall'Afghanistan; così come Vadim ce la descrive non sembra una zona allettante. Mancano poche ore alla nostra effettiva illegalità in questo suolo non proprio ospitale, la scelta non è più di tanto ponderabile, e perlomeno dobbiamo recarci in una struttura alberghiera ufficiale per ottenere il timbro per altri 3 giorni.
Reference: -La Venta-Explorazioni Geografiche
Salutiamo i nostri amici russi lasciandoli all'imminente ascesa di Boysun Tau, per inoltrarci a bordo di un taxi nel deserto Uzbeko. Non ne comprendiamo il motivo, ma nessun posto di blocco osa fermarci. Sfrecciamo lontano, le luci di Boysun sono oltre l'orizzonte. Scompaiono le ultime case e la strada diventa nient'altro che una pista sterrata nel deserto, inframezzata da tratti d'asfalto in disgregazione. Josha, uno dei russi organizzatori della spedizione, è rimasto con noi, per farci da interprete, dato che se siamo fortunati, al massimo qualcuno potrebbe parlare un po’ di russo.. Le prime parole che traduce è un discorso che il tassista intavola per "rassicuraci": dice di essere un'ex spia del KGB, e che adesso si passa la pensione spadroneggiando il “clan” dei tassisti di Boysun. Per queste  motivazione Kalim sostiene  quindi: che lui di guida "se ne intende".

Quelle parole suonavano un pò come le disposizioni di sicurezza preregistrate che fanno ascoltare negli aerei prima del decollo.. L'auto comincia a sfiorare i 140km/h, c'è buio pesto nel deserto terribile, i finestrini sono spalancati  e le leve per chiuderli rotte. I tornado che pochi giorni prima vedevamo al di fuori del furgone di Igor, ora si formano nei sedili posteriori dell'auto di Kalim, facendoci stramazzare ovunque, vorticosamente. Nel sedile anteriore invece sonnecchia Josha,  comodo e tranquillo, come se fossimo in due dimensioni parallele. L'auto sgomma per ore sulle curve di quella strada infinita, sfiorando camion, pilastri di cemento, burroni, parapetti. Di tanto in tanto Kalim si avventura contromano, suppongo perchè la carreggiata del vicino è sempre la più verde. Arriviamo in tempo record, in fin di vita dal terrore, sono senza voce dalle bestemmie. Smontiamo dalla macchina, increduli di essere ancora al mondo, svegliamo Josha che è ancora là che dorme. Non capisco se non avesse  realmente la minima preoccupazione o si fosse semplicemente arreso al suo destino.

Termiz, luogo dimenticato da Dio e dagli uomini, una penisola di desolazione uzbeka nel deserto afgano, città di giornalisti di guerra, donne meravigliose e incredibili meccanismi burocratici. Arriviamo in un albergo, ancora terrorizzati e bianchicci, alle 11 di sera, ad un'ora dalla nostra effettiva illegalità. Una gentile e panzuta matrona, spaventata dalle nostre facce, si affretta a timbrarci il passaporto. Notte insonne, e poi sveglia. E' mattina presto, colazione con ciambelle dolci, su un giardino verdastro. In strada, un vecchio suonatore di sitar circondato da un'orda di automobili e passanti Ci facciamo strada tra esse fino all'ufficio del turismo per iniziare la nostra odissea burocratica: segreteria, ufficio di Tizio, che dopo un lungo colloquio ci porta finalmente da Caio, il quale ci abilita a conoscere Sempronio che arricchiamo con una mazzetta sostanziosa. Andiamo cosi dal poliziotto Pinco, alla caserma. Ci accorgiamo però che Sempronio ha sbagliato a scrivere un documento per la polizia: secondo lui mi chiamo Margot Zocca e faccio la pornostar nei bassifondi di Termiz, mentre Alessio, dopo la sua storia con un vassoio uzbeko, nel documento verrà chiamato ovviamente Alessoio Romeo. Straordinario che “Francesco Sauro” lo scrivono in modo perfetto, ciò mi induce a pensare che il mio caro amico avesse già frequentato quegli ambienti, spero di non venire mai a saperne di più. Torniamo da Pinco con le carte giuste tra le mani, lui ovviamente pretende una piccola mazzetta di cortesia per recarsi da Pallino, il suo boss.

Reference: -La Venta-Explorazioni Geografiche
Pallino invece, con la voce della legge, pretende un'ingente e maestosa tassa governativa. L'ultima finalmente. Tornano tra le nostre mani quegli stupidi libretti rossi chiamati passaporti, dove stupidamente vengono annotati i confini che abbiamo deciso di valicare. In quei libriccini c’è una nuova stupida scritta, che spiega al mondo che noi possiamo esistere in territorio Uzbeko per altri 20 giorni senza ulteriori visti. La città se ne scivola già lontana più veloce che mai. Lascia in noi le ombre del suo fascino unico. Il fascino di un miscuglio di popoli, di lineamenti orientali, di lingue indecifrabili, di guerra, di fame, di voglia di ridere, di corde metalliche di sitar suonate da dita callose e sapienti. Circondata da oceani di nulla.

In una baracca mangiamo riso con verdure e uvetta (plov). Un'altra pausa poco dopo, per fare benzina. Oltre la strada un fiume, oltre il fiume l'Afghanistan. Kalim guarda in quella direzione in un pensoso silenzio, posa l'erogatore di oro nero. Ripartiamo..


Continua…                (JeanPierre)