giovedì 22 dicembre 2011

Norra

Parcheggiamo davanti ad un pugno di case poste alla fine della strada, vecchie case di montagna che ci scommetterei dentro hanno caminetto, stufa ed occupanti ben oltre la sesta decade di età, testimoni di un mondo che probabilmente va a scomparire.
Ci incamminiamo io, la Giulia, Matteo, Pacho (a quattro zampe) e JP, quest’ultimo brandisce svariati arnesi tra cui un piede di porco che ben si abbina al suo scandaloso sottotuta nero dandogli le fattezze di un Diabolik dei poveri; qualcuno potrebbe scambiarci per scassinatori, non fosse che nemmeno il più cerebroleso dei grassatori si avventurerebbe per un sentiero di montagna con intenti predatori.
La giornata è tutto sommato discreta, un timido sole contribuisce a rendere la temperatura sopportabile, abbandoniamo la strada asfaltata all’altezza di una catasta di tronchi e seguiamo un sentiero in parete, al suolo un tappeto di foglie attutisce i nostri passi, sotto di noi si apre la valle di Riofreddo, l’ennesimo meraviglioso e poco conosciuto scorcio di quel Veneto che per me rappresenta il mondo intero.
Siamo già arrivati: mi sbarazzo della mia tenuta da sciatore fallito per infilarmi nella più consona (e lurida) tuta speleo, mentre Matteo mette giù una corda, in maniera tale da evitare che qualcuno (nome a caso: io) si ammazzi nel tentativo di raggiungere l’entrata della grotta.
Ci infiliamo in essa, ognuno di noi trasporta qualcosa chi la mazzetta, chi il badile, a me tocca il secchio che comincio a trascinare negligentemente, la grotta è il classico paradiso del masochista: di starsene eretti nemmeno a parlarne, nel migliore dei casi si procede gattonando, quando non ci si trova costretti ad un ipogeo passo del giaguaro dove al posto delle urla di un sergente istruttore ci sono sassi appuntiti e strettoie.
Dopo un interminabile tragitto, dalla presumibile durata di una ventina di minuti, arriviamo al cosiddetto punto di scavo, dove ci apprestiamo a disostruire un condotto invaso da una soffice e scura sabbia; sotto le istruzioni del capogita Matteo ci mettiamo di buona lena: la Giulia si ficca in fondo con la vanga, Matteo sposta avanti la sabbia con la zappa, JP la butta nel secchio ed io lo svuoto, è tutto molto divertente e sembra di essere in spiaggia peccato manchino il mare e, dettaglio trascurabile, il sole.
Invertiamo i ruoli, io e JP prendiamo il posto della Giulia e Matteo, che ci ringalluzzisce con la propagandistica frase “si lavora bene in quattro”, ora siamo noi sul fondo, andiamo avanti per un bel pezzo alternandoci nel budello finale, un posto dove persino muovere la testa diventa una sfida niente affatto scontata.
Nessuno ha l’orologio e Matteo vuole andare a vedere il ramo principale, del quale la nostra spiaggetta è una diramazione, lo seguo sebbene sappia che bisognerà attraversare un laghetto, ma oggi ho deciso di farmi del male, quindi mi accodo. L’acqua mi stritola il piede in una morsa terribile che mi fa tornare alla mente un sabato del marzo 2010, quando mi avventurai per la prima volta in vita mia in una grotta, esco dalla pozza, vorrei piangere ma mi limito ad un paio di bestemmie ben assestate, compagne inseparabili di ogni spedizione, Matteo e JP gironzolano, sgusciano in condotti vari, riscoprono salette, io mi butto scompostamente per terra attendendo il loro ritorno.
Torniamo indietro, il solo pensiero di riattraversare l’artica pozza mi apre scenari di agghiacciante angoscia e ne ho la drammatica conferma appena ci torno dentro, dopo un disperato tentativo di stare fuori dall’acqua il più possibile; esorto poco educatamente JP a darsi una mossa, con un paio di eresie per enfatizzare la mia richiesta.
Ripercorriamo tutta la strada, che sorprendentemente dura meno di quanto pensassi, sebbene i sassi, le strettoie e le imprecazioni siano esattamente le stesse dell’andata; usciamo fuori che è ancora chiaro e risaliamo, la corda tiene ed in qualche maniera riesco ad arrampicarmi fino a su senza rompermi l’osso del collo ed esibendomi in performance che definire ridicole sarebbe pietoso. Ce ne torniamo verso la macchina, Pacho ci precede caracollando gioiosamente per il sentiero, facciamo una breve sosta per osservare un covolo che si apre nella parete di fronte a noi, ipotizziamo, progettiamo, favoleggiamo, vediamo o forse crediamo di vedere una traccia di sentiero che porta ad esso, mentre le montagne attorno a noi ci osservano con fare sornione ed accondiscendente, consce della nostra meschina natura umana, così insignificante rispetto a loro. 

Vipera

mercoledì 19 ottobre 2011

UN'AGGHIACCIANTE DOMENICA


Foto: Francesco Sauro Buso della neve di Zingarella
La sveglia suona impietosa alle sei un quarto, destandomi e spingendomi ad infelici pensieri del tipo “quanto stronzo devo essere per svegliarmi ad un orario del genere di domenica?”, ai posteri l'ardua sentenza. In gruppo trovo l'esimio Dottor Sauro e sua eminenza Jean Pierre (per comodità da adesso in poi li chiamerò “gli amorevoli uzbeki”) che mi rendono edotto sul fatto di essere appena arrivati; precisazione superflua, non mi sarei mai azzardato a pensare che potessero arrivare puntuali. Confabulando e con espressioni corrucciate i due prelevano nell'incerta luce dell'alba quattro sacchi (dei quali uno, scelta veramente felice, si rivelerà senza uno spallaccio), li riempiono di corde e mi intimano di salire nella macchina del presidente, dove trovo la Martina che sonnecchia beatamente; alle sette e tre quarti ci dirigiamo verso quell'ameno luogo di villeggiatura dai più chiamato con il roboante nome di “Altopiano dei Sette comuni”.

La nostra meta è il Buso della neve di Zingarella, per raggiungere il quale siamo costretti a percorrere silenti sterrate circondate da mistiche conifere, dove nemmeno il più ardito dei fungaioli osa mietere il suo micotico raccolto; i pochi minuti residui di avvicinamento diventano da subito una vera e propria via crucis per il sottoscritto che, ascoltando le fuorvianti direttive di JP ha lo zaino carico di roba perché, a suo dire, “farà molto freddo”. Fa talmente freddo che una felpa basta e avanza ed il sole che illumina lo stupendo scenario che ci fa da cornice ha ben poco di autunnale; procedo tra bestemmie smozzicate, momenti di pesante autocommiserazione e dubbi esistenziali: in grotta non ci vado da maggio e la recente svolta vegetariana potrebbe avere risvolti poco simpatici sulle mie prestazioni fisiche.

Scendiamo per un sassoso sentiero fino all'imboccatura dell'abisso, tra una pietra e l'altra occhieggia qualche reperto rugginoso, come per rammentarci che qui, dove noi oggi ce la ridiamo, poco meno di un secolo fa i nostri coetanei ci morivano. Salutiamo la Roberta, che per cause di forza maggiore non può unirsi a noi, pochi metri e siamo sul fondo, attorniati da torreggianti pareti di roccia friabile, sotto ai nostri piedi uno (si spera) spesso strato di ghiaccio che con grande cortesia ci lascia uno spiraglio per permetterci di scendere in grotta. Da insondabili abissi arriva l'aggraziata voce di Francesco che sbraita di muoverci visto che sta gelando, scende JP, dà il libera, è arrivato il mio turno mollo il discensore e comincio a calarmi in un ambiente che avevo visto solamente nelle foto di repertorio: le familiari rocce sono coperte di neve ghiacciata, neve che probabilmente è lì dai tempi in cui ai miei genitori nemmeno passava per la testa di mettermi in cantiere, e fa decisamente più freddo del solito.

Arrivo in salone, accolto dagli arcigni amorevoli uzbeki e dopo poco arriva anche la Martina, la sala è ammaliante, quasi ipnotica: una scarpata di neve a metà della quale si erge una maestosa colonna di ghiaccio, concrezioni dello stesso materiale e Francesco che ne approfitta per farci fare le belle statuine e scattare foto con tanto di imprecazioni verso il dispettoso apparecchio fotografico. Il tempo stringe ed il clima poco invitante ci incalzano, su invito di JP mi ficco personalmente in un cunicolo dal pavimento ghiacciato per sincerarmi che non vada da nessuna parte, dal quale ne esco incastrandomi, perdendo la sensibilità nelle mani ed inzuppandomi completamente, il tutto sotto lo sguardo sornione del caro presidente. Dall'altra parte Francesco ha trovato il pozzo, come al solito di lui abbiamo solamente vaghe e preoccupanti testimonianze che arrivano da qualche metro più in basso, la partenza è molto incoraggiante: una lastra di ghiaccio ne copre il fondo e per evitare di uccidermi devo puntare i piedi contro gli scarponi ramponati di JP (che nel frattempo mi canzona).

Scendiamo ancora: il pozzo è ghiacciato e molto stretto, il sacco si impiglia, cominciano le mie consuete conversazioni ipogee con l'elemento divino, passo il frazionamento, il pozzo si allarga un pochettino, finisco tanto per cambiare nella neve. Siamo alle battute finali: c'è un pozzo da 50 e poi la grotta sembrerebbe chiudere, orologi non ne abbiamo ed a questo punto gli unici due eletti che scenderanno fino in fondo saranno gli amorevoli uzbeki, la Martina farà un pezzo tanto per dare un'occhiata ed io nel frattempo risalirò: accolgo la notizia con sollievo, non sono certo veloce a fare i pozzi e per oggi basta e avanza.

Torno su piano piano, arrivo alla strettissima partenza del pozzo, dopo ripetuti sforzi e contorcimenti grotteschi (nel vero senso della parola!) riesco a passare, torno in salone, risalgo la scarpata e nei pressi del primo pozzo sento ansimare dietro di me, chiamo “Martina” due, tre volte e ricevo come unica risposta lo stesso inquietante ansimare. Quando ormai si stanno per concretizzare scenari paranormali la dolce signor(in)a Schiavinotto finalmente si degna di rispondermi, facendomi passare dal timore verso l'ignoto alla vereconda consapevolezza di essere, per dirla con un eufemismo, lento nella progressione. Mal comune mezzo gaudio: il tempo di uscire assieme (la cengia iniziale scarica terribilmente) ed emerge Francesco; il suo ghigno animalesco, villoso e malefico (considerando che ha anche fatto in tempo a disarmare, assieme al suo degno compare JP) sembra suggerirmi che forse è meglio se mi dedico alle bocce.
Vipera..

giovedì 6 ottobre 2011

CAPITOLO 3 - CLANDESTINI DIRETTI IN AFGHANISTAN




Reference: -La Venta-Explorazioni Geografiche
La mattina ci concediamo un'ottima  colazione a base di colesterolo. Due uova cotte in 6 o 7 litri di burro fuso, pane con burro, anguria con burro, burro con burro, ecc. diluendo tutto con del chyai. Approfittiamo delle ore successive per riordinare con calma il materiale, e riprenderci dalla colazione. A pomeriggio inoltrato un pullman si ferma sulla strada antistante la locanda, un'orda di vichinghi ne discende e si dirige con solennità verso il portone. In pochi minuti possiamo stringere la mano a Vadim, il capo spedizione: i russi sono arrivati.  Sono in 19 di cui 5 donne, alcuni sono giovanissimi, altri signori con qualche anno in più possiedono un viso scavato dalla fatica e dagli stenti, mentre le rimanenti 7-8 persone sono esattamente come immaginavo nei miei voli di fantasia: dei colossi  con un “non sò chè” di indistruttibile e un sguardo torvo stampato in faccia. Vadim il loro leader sfiora i due metri d'altezza ed è uno dei pochi con cui riusciamo a scambiare qualche timida parola d'inglese. Ci informa che la sera e parte della mattinata di domani saranno necessarie per ottenere i permessi, mentre già nella nottata successiva sarà possibile spostarsi in jeep verso l'ultima zona abitata prima di Boysun Tau: il villaggio di Sha-Tut.

Reference: -La Venta-Explorazioni Geografiche
Spendiamo la giornata a conoscere i nostri nuovi compagni di viaggio, lentamente, studiandoci a vicenda, cercando punti in comune sulle nostre passioni, sul nostro modo di andare in grotta. Ci mostriamo vicendevolmente i materiali, loro sono in possesso di 50 sacchi da speleo pieni di ogni sorta di oggetti utili per la spedizione; formano nel cortile una specie di muraglia arancione e grottesca.  I più invasati tra loro si scatenano in prove di forza, arrampicandosi sulle pareti della locanda. Scansiamo abilmente  il loro invito a partecipare a queste gare, evitando così di coprirci di ridicolo sin dall'inizio. Alcuni ragazzi sono veramente impressionanti, uno in particolare si chiama Misha, robusto e agile, allo stesso tempo furbo e reattivo, zompetta tra le ringhiere e le finestre dell'edificio come una splendida blatta. Spesso cerca di conversare con noi, curiosissimo  delle nostre tecniche e attrezzature, inizia subito ad imparare qualche parola di italiano per comunicare; le classiche parole speleo: libera, sasso, moschettone, corda, ecc..


La cena è nello stesso posto del giorno precedente, quello del famigerato Passakalowsky. Furbamente e russamente, i nostri spietati compagni decidono di percorrere 5 chilometri di marcia a piedi verso il ristorante, evitando di chiamare il taxi. Arriviamo dopo 40 affamati minuti ad una rovente zuppa di carne. La cosa più impressionante di quel ristorantino è il bagno, una sorta di fossa moscosa in un campo, a quasi 500 metri dal ristorante. Attraverso le cucine seguendo un bambino-cameriere, vago nell'oscurità di un cortile sabbioso, circondato da un’alta e cadente cinta di mura. Il ragazzino mi invita a seguirlo ancora attraverso un buco nel muro. Entriamo nel campo del vicino che mi guarda come se avesse visto un'apparizione di Allah. Certo, i miei vestiti e il colore della mia pelle forse sono un po’ fuori luogo nel suo campo. Dopo un altro paio di cortili arrivo finalmente a questa fossa pestilenziale. Ovviamente, sentendo già le mie vaccinazioni in subbuglio, faccio i miei bisogni da tutt'altra parte, a ridosso di un edificio. Ri-ovviamente in quel momento ne fuoriesce il proprietario a cui la scena appare talmente insolita che non osa proferire parola e si allontana quatto quatto, fissandomi e senza darmi le spalle.

Nel frattempo la vodka abbonda al nostro tavolo, e i russi appaiono sempre più sciolti ed affabili. I ricordi svaniscono. Una lunga camminata di ritorno. Gente urlante. Il salotto di Salim colmo di energumeni esagitati. Io, Francesco e Alessio improvvisiamo lunghi discorsi in russo: alticci di fronte ad un pubblico alticcio. Il padrone di casa ringhia la sua proposta di fare meno frastuono. Queste persone sembrano di colpo così familiari, sembrano amici ritrovati dopo secoli di distanza, in fortissimo contrasto con i freddi sguardi indagatori di quando poche ore prima, gli abbiamo stretto la mano per la prima volta.



Reference: -La Venta-Explorazioni Geografiche
La mattina dell'indomani tutti ritornano seri e risoluti, freddi e poco comunicativi. Sembra impossibile di aver vissuto la sera precedente con le stesse persone. Prepariamo le ultima cose per la salita, parte dei russi è alla stazione di polizia per i permessi. Ci rechiamo a pranzo, in un nuovo ristorante che intuiamo avrebbe messo alla prova i nostri intestini. Piscine di acqua putrida in mezzo al giardino estivo ammantato di tap-chang,  tutto sà di kerosene, salviette, pane, acqua, arrosticini... forse hanno dei problemi con la stufa. O forse di tanto in tanto è tradizione innaffiare la dispensa del ristorante con del gasolio. Il servizio è meraviglioso, quasi surreale. Vedo un baffuto avventore domandare un bicchiere d'acqua. Il cameriere, con eleganza, riempie un boccale usato preso da un tavolo, su una fontana  verdastra del giardino e lo fornisce prontamente al cliente. Prima però ne beve metà (credo che sia una sorta di decima che applicano i camerieri uzbeki su ciò che servono, poiché l’ho visto fare in più di un’occasione).

Saggiamente, per non farci attendere troppo, ci vengono portate in tavola delle stoviglie già usate da altri, talmente sporche e inavvicinabili che credo onestamente che il nostro utilizzo le abbia pulite. Francesco è vittima di un'esplosione intestinale quasi istantanea, e si fionda nei servizi poco distanti. Tornerà dopo un paio di minuti, con il viso pallido e smunto. Sembra che sia rimasto traumatizzato dalla visione del bagno di quel ristorante, guarendo improvvisamente dalla dissenteria,  e subendo tuttavia dei danni psicologici di una certa entità, riconoscibili ancora oggi qualora aveste la “fortuna” di incontrarlo.

Reference: -La Venta-Explorazioni Geografiche
Ci allontaniamo dall'inferno a pranzo ultimato, imbocchiamo la via centrale punteggiata da negozietti d'ogni genere, bancarelle di quaderni e penne per la scuola, qualche piccola bottega di artigiani; alcuni venditori, di fronte alle loro cataste di eternit, consigliano ai passanti un modo "furbo" di farsi il tetto della casa con quelle lastre portentos. Vaghiamo nel mercato di Boysun, stormi di uzbeki ci osservano curiosi, tra le piramidi di meloni gialli e  le angurie paffute; zucchero in cristalli, ciambelle di pane, vestiti di seta, vecchi che pestano il pepe con delle grosse pietre, cortelli forgiati a mano. Sembra di essersi risvegliati in un altro universo. Vorrei passare il resto della vita ad osservare i vestiti sgargianti delle donne, la gente che contratta un tozzo di pane, la frutta al sole. Un paio di ragazzini si azzuffano per chissà quale motivo, mentre una folla accorre a dividerli ci infiliamo nel mercato coperto. Mastichiamo una manciata di strane sementi offerte da un negoziante e restiamo incantati a guardare i quarti di carne appena macellati esposti su un tavolaccio polveroso. Lentamente, con gli occhi straripanti di immagini, torniamo sui nostri passi.

Siamo alla locanda, sono le 6 di sera, arriva un ragazzo russo, ci spiega che dobbiamo precipitarci alla stazione di polizia. Senza porci troppe domande  andiamo velocemente nella caserma poco distante. Incontriamo Vadim; con voce calma ma turbata, racconta che per le persone di cittadinanza russa non ci sono problemi relativi ai permessi, per gli europei è invece necessario un timbro sul passaporto ogni 3 giorni, da parte di una struttura alberghiera riconosciuta. I nostri amici speravano di riuscire a pagarci un permesso valido 20 giorni , ma sembra che per una misteriosa legge appena entrata in vigore, a Boysun questo non sia possibile. Anzi, la locanda di Salim non è nemmeno abilitatà a validare la nostra registrazione di 3 giorni. Il risultato è poco entusiasmante: essendo ormai le 8 di sera del nostro terzo giorno in Uzbekistan, noi 3 italiani diventeremo clandestini in quel paese tra 4 ore esatte. Una prospettiva non proprio rosea considerando la quantità di forze di polizia presenti in ogniddove e la perizia ossessiva che queste usano nei loro controlli . 
Reference: -La Venta-Explorazioni Geografiche

Mentre davamo grosse testate sul muro della centrale per farci venire qualche idea, in modo improvviso e anche un pò sospetto, compare un tassista cicciotto di nome Kalim. Sembra sapere già le nostre paturnie burocratiche e si presenta come la soluzione ad ogni nostro problema. Ci spiega che la centrale di Boysun non è autorizzata a rilasciare il permesso di permanenza lungo, “ma lui”, con le sue conoscenze a Termiz, potrebbe fare al caso nostro. Termiz è una città situata più a sud, in una penisola di terra circondata dall'Afghanistan; così come Vadim ce la descrive non sembra una zona allettante. Mancano poche ore alla nostra effettiva illegalità in questo suolo non proprio ospitale, la scelta non è più di tanto ponderabile, e perlomeno dobbiamo recarci in una struttura alberghiera ufficiale per ottenere il timbro per altri 3 giorni.
Reference: -La Venta-Explorazioni Geografiche
Salutiamo i nostri amici russi lasciandoli all'imminente ascesa di Boysun Tau, per inoltrarci a bordo di un taxi nel deserto Uzbeko. Non ne comprendiamo il motivo, ma nessun posto di blocco osa fermarci. Sfrecciamo lontano, le luci di Boysun sono oltre l'orizzonte. Scompaiono le ultime case e la strada diventa nient'altro che una pista sterrata nel deserto, inframezzata da tratti d'asfalto in disgregazione. Josha, uno dei russi organizzatori della spedizione, è rimasto con noi, per farci da interprete, dato che se siamo fortunati, al massimo qualcuno potrebbe parlare un po’ di russo.. Le prime parole che traduce è un discorso che il tassista intavola per "rassicuraci": dice di essere un'ex spia del KGB, e che adesso si passa la pensione spadroneggiando il “clan” dei tassisti di Boysun. Per queste  motivazione Kalim sostiene  quindi: che lui di guida "se ne intende".

Quelle parole suonavano un pò come le disposizioni di sicurezza preregistrate che fanno ascoltare negli aerei prima del decollo.. L'auto comincia a sfiorare i 140km/h, c'è buio pesto nel deserto terribile, i finestrini sono spalancati  e le leve per chiuderli rotte. I tornado che pochi giorni prima vedevamo al di fuori del furgone di Igor, ora si formano nei sedili posteriori dell'auto di Kalim, facendoci stramazzare ovunque, vorticosamente. Nel sedile anteriore invece sonnecchia Josha,  comodo e tranquillo, come se fossimo in due dimensioni parallele. L'auto sgomma per ore sulle curve di quella strada infinita, sfiorando camion, pilastri di cemento, burroni, parapetti. Di tanto in tanto Kalim si avventura contromano, suppongo perchè la carreggiata del vicino è sempre la più verde. Arriviamo in tempo record, in fin di vita dal terrore, sono senza voce dalle bestemmie. Smontiamo dalla macchina, increduli di essere ancora al mondo, svegliamo Josha che è ancora là che dorme. Non capisco se non avesse  realmente la minima preoccupazione o si fosse semplicemente arreso al suo destino.

Termiz, luogo dimenticato da Dio e dagli uomini, una penisola di desolazione uzbeka nel deserto afgano, città di giornalisti di guerra, donne meravigliose e incredibili meccanismi burocratici. Arriviamo in un albergo, ancora terrorizzati e bianchicci, alle 11 di sera, ad un'ora dalla nostra effettiva illegalità. Una gentile e panzuta matrona, spaventata dalle nostre facce, si affretta a timbrarci il passaporto. Notte insonne, e poi sveglia. E' mattina presto, colazione con ciambelle dolci, su un giardino verdastro. In strada, un vecchio suonatore di sitar circondato da un'orda di automobili e passanti Ci facciamo strada tra esse fino all'ufficio del turismo per iniziare la nostra odissea burocratica: segreteria, ufficio di Tizio, che dopo un lungo colloquio ci porta finalmente da Caio, il quale ci abilita a conoscere Sempronio che arricchiamo con una mazzetta sostanziosa. Andiamo cosi dal poliziotto Pinco, alla caserma. Ci accorgiamo però che Sempronio ha sbagliato a scrivere un documento per la polizia: secondo lui mi chiamo Margot Zocca e faccio la pornostar nei bassifondi di Termiz, mentre Alessio, dopo la sua storia con un vassoio uzbeko, nel documento verrà chiamato ovviamente Alessoio Romeo. Straordinario che “Francesco Sauro” lo scrivono in modo perfetto, ciò mi induce a pensare che il mio caro amico avesse già frequentato quegli ambienti, spero di non venire mai a saperne di più. Torniamo da Pinco con le carte giuste tra le mani, lui ovviamente pretende una piccola mazzetta di cortesia per recarsi da Pallino, il suo boss.

Reference: -La Venta-Explorazioni Geografiche
Pallino invece, con la voce della legge, pretende un'ingente e maestosa tassa governativa. L'ultima finalmente. Tornano tra le nostre mani quegli stupidi libretti rossi chiamati passaporti, dove stupidamente vengono annotati i confini che abbiamo deciso di valicare. In quei libriccini c’è una nuova stupida scritta, che spiega al mondo che noi possiamo esistere in territorio Uzbeko per altri 20 giorni senza ulteriori visti. La città se ne scivola già lontana più veloce che mai. Lascia in noi le ombre del suo fascino unico. Il fascino di un miscuglio di popoli, di lineamenti orientali, di lingue indecifrabili, di guerra, di fame, di voglia di ridere, di corde metalliche di sitar suonate da dita callose e sapienti. Circondata da oceani di nulla.

In una baracca mangiamo riso con verdure e uvetta (plov). Un'altra pausa poco dopo, per fare benzina. Oltre la strada un fiume, oltre il fiume l'Afghanistan. Kalim guarda in quella direzione in un pensoso silenzio, posa l'erogatore di oro nero. Ripartiamo..


Continua…                (JeanPierre)

lunedì 19 settembre 2011

CAPITOLO 2 – “PASSAKALOWSKI!”


Foto: -La Venta- Explorazioni Geografiche
Superiamo anche l'ultimo posto di blocco per inoltrarci finalmente nella periferia di Boysun; Un campetto da calcio polveroso, un viale di edifici fatiscenti, bettole, piccole botteghe di artigiani, qualche ristorante; questi ultimi facilmente riconoscibili dalla intarsiata presenza dei Tap Chang, sorta di tavolati in legno decorato, alti e spaziosi, colorati da tappeti e cuscini di morbido velluto. In questa regione dell'Asia è il luogo tradizionale dove mangiare, pisolare e a volte anche solo guardare il tempo che scorre.

Una macchina ci accosta di prepotenza, consumando il clacson e i fanali con l'intento di raccogliere la nostra attenzione. Sembra che Igor conosca il conducente, svolta bruscamente e lo insegue nei viali di Boysun.  Due ragazzini aprono un garage dai pesanti portoni in legno lavorato, seguiamo l'auto fin dentro l'edificio. I portoni vengono richiusi alle nostre spalle e provocano un pesante e lugubre frastuono. Dall'auto scende un uomo, magro, non molto alto, con dei baffoni uzbeki su un viso uzbeko. Ci presentiamo a Salim, che scopriamo essere il padrone di una specie di locanda.  Nel cortile interno, gustiamo una focaccia di pane gommoso, tè uzbeko (Chyai) e grosse fette d'anguria (Arbast), accoccolati sul tap chang. Rinfrancati, ci scateniamo in gran discorsi gestuali, cercando di capire dove dormiremo, se possiamo girare per la città senza problemi, se dobbiamo comprare dei permessi per stare in quel paese, ecc.

Ci sembra di intuire che l'arrivo del gruppo di russi è atteso per il pomeriggio dell'indomani. Il figlio di Salim giovane e curioso ci mostra la nostra stanza. Non rimane altro che dedicarsi al non far niente, ci appollaiamo su un soppalco rivolto verso il cortile, dove è stato ricavato un salottino. Chiediamo al ragazzino di procuraci qualcosa da bere. Torna con una meravigliosa birra Sarbast. Difficile immaginare che dà lì a pochi giorni, il desiderio di una Sarbast ghiacciata sarebbe diventata una costante  e splendida ossessione del nostro viaggio.

Foto: -La Venta- Explorazioni Geografiche
Oltre il soppalco, all'interno dell'edificio, nel suo piano superiore: un salotto, un gran tavolo ed una gran televisione. Cuscini, velluto e colori sparsi ovunque. Vi sono varie camere che accedono al salotto. La nostra è l'unica con tre letti. Apriamo di malavoglia i nostri bagagli, mentre lo stomaco brontola il desiderio di un pranzo.  Gesticoliamo quindi ad Igor di portaci in una bettola qualsiasi, nella discussione si intromette anche un pasciuto signore uzbeko. Dall'aria gioviale e amichevole. Talmente amichevole che ci convinciamo sia parte degli organizzatori della spedizione, o magari un vecchio amico dei russi, o addirittura una personalità importante del villaggio di Boysun (il sindaco?). Quel signore grassoccio e baffuto si offre di accompagnarci a pranzo. Igor ci inabbissa nuovamente nei viali di Boysun, questa volta guidato dal prestigioso sindaco della città.

Di ciò che segue possiedo ricordi offuscati. Una bettola diroccata. Zuppa innaffiata da torrenti di alcool. Ravioli con yogurt. Il signore grassoccio che continua ad ordinare bottiglie di vodka. Arrosticini. Ciambelle di pane caldo. Di tanto in tanto il nostro sconosciuto compagno: uzbeko, euforico e alticcio, ci urla con fare saccente e rabbioso: "Passakalowski!!!" supponendo che noi capissimo a meraviglia il discorso in russo sbiascicato che aveva intavolato ormai da qualche ora. Gli offriamo il pasto. Foto di rito: mentre siamo in posa, lui ha uno svenimento, suppongo per un principio di coma etilico. Lo reggiamo fino a che non riusciamo a riversarlo su un taxi. Igor dice qualcosa al tassita, che  se ne và col suo prodigioso carico. Quella fù l'ultima volta che lo vedemmo. Nessuno sà chi sia, ne come si chiama, ne tantomeno il significato della parola Passakalowski. Si è semplicemente fatto una gran bevuta gratis, per poi darsi misteriosamente alla macchia, diventando per forza di cose una figura leggendaria.

Foto: -La Venta- Explorazioni Geografiche
Rientriamo alla locanda, la sera optiamo per un pasto più mite. Una zuppa di carne. La padrona di  casa vestita di mille colori stà preparando la cena. I figli di Salim si mettono dentro un'aiuola del cortile interno, e chiedono di essere fotografati trai girasoli. Ci trascineranno quindi tra le vie del centro l’ennesima volta, nella pericolosa ricerca di qualche negozietto in grado di stampare le foto.  Ci rendiamo conto di essere senza documenti, fortunatamente ed incredibilmente non incrociamo gendarmi. Al ritorno, la madre osserva felice l’immagine dei figli, stampata su una carta sbiadita e spiegazzata, mentre mescola la zuppa di carne su un grande wok posato tra le braci. Tutto è molto familiare e placido. La donna, sulla quarantina, ha un sorriso che  ti arriva dritto al cuore. I figli si sono già impossessati del nostro portatile e ci scherniscono per l’assenza di giochi. Per lo stesso motivo rifiutano anche il GPS. Trovano più divertente invece imparare qualche offesa in italiano. Una doccia veloce in una specie di stanzino-sauna. Usciti da quel terribile luogo, il mortale caldo uzbeko sembra una brezza rinfrescante.

Foto: Cortesia Archivio Franceco Sauro.
Ancora una Sarbast.
Ci corichiamo, poco dopo mi alzerò con già i primi problemi all'intestino.


Continua… 
(JeanPierre)

giovedì 15 settembre 2011

Capitolo 1 - TASHKENT, IGOR, UN DESERTO E UNA BORSA DI SOLDI


Arriviamo a notte inoltrata a Tashkent, passando per Mosca. Attraversiamo il cortile dell'aereoporto uzbeko trascinando con noi 2 sacchi ognuno, ogni sacco pesa 23 fastidiosi chili. Siamo inoltre addobbati con altri zainetti, borselli macchine fotografiche.

Reference: -La Venta-Explorazioni Geografiche

Oltre il vuoto cortile dell'aereoporto, una brulicante folla di persone si accalcano contro la ringhiera. Ci addentriamo, trascinando le nostre cose, fra gruppi di tassisti urlanti, venditori con le loro ceste di vimini, autisti di qualche hotel, uomini d'affari, poliziotti, mendicanti. Uno di questi uomini urlanti si chiama Igor, e stringe tra le mani un cartello con scritto "Asia Adventure": l'agenzia concordata con gli amici russi per trasportarci nel primo tratto di viaggio.

Igor conosce due lingue altisonanti e indecifrabili: Uzbeko e Russo. Avvicinandosi a noi ci stringe la mano come una morsa, un sorriso un pò storto sulle labbra, lo sguardo duro, tagliente.-Italianski?- ci domanda con fare diffidente, - “Da”- rispondiamo, sfoderando l'unica parola che conosciamo di russo. Alla risposta affermativa riceviamo in cambio un pezzo di carta con delle scritte in inglese e una borsetta nera piena di un qualcosa di voluminoso e dalla forma squadrata. Nella carta, firmata dal capo spedizione russo, vi è scritto in un'inglese contorto di affidarci a Igor per le prossime 5 ore, il quale ci avrebbe portato attraverso il deserto verso la città di Boysun, dove avremmo passato la notte successiva in attesa del loro arrivo.

Apro la borsetta, contiene un mazzo di circa 400 banconote locali, non un grande valore in realtà, solo un grande volume, considerato che il taglio più grande di banconota esistente in Uzbekistan corrisponde a circa 30 centesimi di euro (misura anti-esportazione di banconote). Con questo mazzo di soldi dovremmo coprire le spese di viaggio per la nostra prossima tappa.
Reference: -La Venta-Explorazioni Geografiche


Carichiamo i bagagli nel furgone e ci lasciamo avvolgere dall'alba di Tashkent. La città scivola via veloce, tra i parchi secchi e i viali trafficati, gli alti edifici delle compagnie di estrazione del gas, circondati ai loro piedi da vicoli scalcinati e insicuri. Le strade d'asfalto rotto e bucato, ci conducono oltre la desolazione della periferia malfamata, sempre più dentro il deserto. Colline secche, immense pietraie sinuose, un calore via via più soffocante, man mano che il sole si innalza. Con Igor nemmeno una parola, comunichiamo a sguardi, a gesti, con non poche difficoltà, a volte il mio goffo gesticolare lo fà esplodere in una risata ruvida, che ben presto rientra. Mentre si destreggia alla guida, su imprevedibili strade di asfalto disgregato, a pezzi, a tratti assente, dove buche o animali in attraversamento rappresentano un incessante e pericoloso intermezzo.

Si leva un vento rovente, e secco. Sulle pietraie ai margini della strada, si colorano di polvere alcune imponenti trombe d'aria, che solcano per brevi tragitti i campi e l'arsura del deserto prima di scomparire magicamente. Spesso incrociamo paesi fantasma, poche baracche bruciate dal sole. Meno di frequente qualche ragazzino con le sue capre, un vecchio pastore a cavallo di un mulo, una coppia di donne vestite di mille colori ai margini di un sentiero desolato, ferme, che attendono chissà cosa. Guardandole viene quasi da domandarsi come sopravvive una tale bellezza in quel vuoto soffocante.

Reference:-La Venta-Explorazioni Geografiche
Miriadi di posti di blocco: ogni confine, ogni passaggio a livello, ogni incrocio, ogni ponte, ogni città; rallentare, farsi squadrare dalla polizia, mostrare i documenti, ascoltare Igor discutere più o meno animatamente, che decide talvolta di allungargli qualche Som per poter ripartire. Da una piega di una collina, raggiungiamo finalmente, a pomeriggio inoltrato Boysun. Igor si ferma su un belvedere con il furgone. La città è adagiata su una conca, circondata dal deserto infinito, qualche colle roccioso la sfiora da un lato, e più in la catene di monti intagliate e nude. Imponenti muraglie lontane, che a tratti si interrompono e a tratti riprendono la loro corsa verticale fino a perdersi nell'orizzonte.  Molte di queste montagne sono di pietra calcarea; un tempo, quando probabilmente qualche immenso ghiacciaio ne lambiva la sommità, è iniziata la corsa dell'acqua nel ventre della terra. Una spinta tettonica irresistibile ha poi innalzato tre longilinei e interminabili muri di roccia che per vari chilometri solcano paralleli questo tratto di Uzbekistan al confine con il Tagikistan.

Reference:-La Venta-Explorazioni Geografiche
Le cavità, di cui queste montagne sono costellate, proseguono ora la loro corsa in cielo, fuoriuscendo prepotenti dalle alte pareti a strapiombo. La nostra meta, Boysun Tau, la più alta di queste muraglie, tesse il suo cammino intorno ai 4000 metri di quota. Dal punto in cui siamo si vede appena. Ma ciò che non può la vista lo fà la nostra immaginazione. Siamo già al galoppo con la mente, nelle viscere della terra, tra la vertigine delle vette e il profondo silenzio ghiacciato delle grotte, avviluppati da un eco lontano dei racconti dei nostri predecessori, che vagarono su quelle altezze più di vent'anni prima in cerca di vuoto.

Igor, con lo sguardo storto, ci interrompe farfugliando qualcosa di incomprensibile. Nell'espressione secca del suo viso, si distingue in modo chiaro la sua terra aspra e imprevedibile. Con un cenno della sua mano capiamo che è ora di andare.


Continua…                      (JeanPierre)

mercoledì 8 giugno 2011

I neo-speleologi e Noè

"I neo-speleologi GSP" 2011 Uscita: Grotta Noè, 

Foto : Giulia V.

I neo-speleologi 2011 sono tornati a riunirsi per un’altra uscita in the cave… questa domenica si parte alla volta della grotta Noè. Posticipato il ritrovo alle 7.30 e solo dopo aver ricevuto un super pacco da Gilbert, che con voce grottesca, alla chiamata di Carlo, ha risposto ‘Andate, andate’… senza specificare dove… (per fortuna!)  il piccolo gruppo è partito! Arrivati alla grotta Giulia e Carlo si sono messi ad armare coperti da un cielo plumbeo che non prometteva niente di buono… ma ci avevano avvertiti che per la Giulia il binomio Noè-Acqua è d’obbligo! Vista la grande numerosità di camion che, nonostante sia domenica, continuano a passare nella strada accanto, si decide di iniziare a scendere rapidamente (o almeno così si vorrebbe)… 

Con i neo speleo solo Giulio (gli altri due sono già alla base del 60) che si mette  ‘a capra’ tra i due frazionamenti prima del tiro unico per controllare i nostri movimenti… primo a partire Mauro! Longe, discensore, primo frazionamento passato senza problemi, secondo frazionamento anche e poi dritto verso il fondo. Secondo ad andare Alberto -il regolabile- anche per lui passaggi semplici, chiari ed eseguiti con estrema facilità e precisione. 

Iniziano allora le donne… parte Marta… praticamente una slow motion… 10 minuti per fare i primi10 metri (passare i due frazionamenti) figurarsi gli altri 50!!!! Seconda donna ad andare Giulia, anche per lei discesa calma e gentile (com’è nel suo stile) ad attenderla alla base un mazzo di tre rose rosse fatte portare apposta per l’occasione dal suo istruttore preferito!!!! Con lei ci raggiunge anche Giulio che, stanco di stare a capra, ha deciso di unirsi al gruppo lasciando a Luca - Picaciù l’onere e l’onore di scendere da solo. Sembra procedere tutto bene per fino al secondo frazionamento passato il quale non riesce più a togliere la longe… oh mamma!!!! Monta la maniglia e cerca di togliere tutto… alla fine ce la fa e in 4 minuti scende il pozzo. Arrivati tutti al fondo si parte alla scoperta della grotta… ramo di sinistra come primo da vedere.. la Giulia, sempre fornitissima, si è portata la macchina fotografica con cavalletto annesso per fare un sacco di foto artistiche!!!!  Per creare un po’ di avventura si passa per i brevi anfratti che la grotta propone e nemmeno questa volta riusciamo nell’intento di far uscire la Giulietta con la tuta bianca… 

"I neo-speleologi GSP" 2011 Uscita: Grotta Noè, Foto : Giulia V.

Dopo una breve sosta per la pausa pranzo (accanto alle carcasse, delle quali si vedevano non solo le ossa ma si odorava ben bene il puzzo) a base, per qualcuno, di tramezzini chimici recuperati in un autogrill trovato nel tragitto Marsiglia-Verona-Padova, si parte alla volta dell’ala di destra… tra stalattiti e stalagmiti si trova sempre l’anfratto giusto per una foto e tra una scritta e l’altra si scopre che Claudia è stata in quella grotta nel 1929… peeeeeerò!!!! Chissà se allora era più bella senza la sua scritta in nero sulla roccia luccicante…. Il buco da sotto è luminosissimo, è spuntato il sole e il mondo al di fuori sembra chiamarci…

Pronti a partire per la risalita… si parte con il vero allenamento per la Preta (o almeno così lo abbiamo vissuto noi)! Primi a partire la Marta e Carlo ma dall’alto si sente un richiamo… ‘ohoh’ e noi tutti ‘silenzio silenzio avete sentito?!’ e di nuovo ‘ohoh’ e come tutta risposta un ‘ohoh’ ad indicare che Andrea, che avevamo visto girovagare in mattinata con il furgone carico, è venuto a salutarci e ci aspetta di sopra.  15 minuti di pedalate costanti liberano i primi due dal famigerato pozzo che, cito testualmente da www.grottedelcarso.splinder.com, ‘è […] lo spauracchio di parecchi speleologi non necessariamente alle loro prime avventure ipogee’; a ruota seguono  Giulietta e Giulio, Tavernello e Raspa, quest’ultimo come colpo di scena fa cadere vicino a Giulia la sua bottiglietta d’acqua che per un pelo non se la becca dritta sul naso, e infine, per il disarmo, Giulia e Picaciù! Tutti fuori dalla grotta si va, come buona regola vuole, a bere qualcosa di fresco per poi tornare alla classica pizza padovana.

"I neo-speleologi GSP" 2011 Uscita: Grotta Noè, Foto : Giulia V.

Pronti fin da ora per la prossima avventura!!!
Marta.

sabato 4 giugno 2011

DIVERTENTI DIVERTICOLI

Abisso Bluette Foto: Francesco S.

DIVERTENTI DIVERTICOLI






Omar ci abbandona a Intrigoss, dopo averci fatto da sherpa. Ci salutiamo guardando la piana di cimia e la paretona del pizzoc che gioca a nascondino con le nuvole; in fondo, dall’altra parte della valle, la gusela sembra fare la guardia all’ingresso di Isabella quasi a proteggere tesori e segreti rinchiusi in quel mondo di buio e pietra.


La strada è ancora lunga, ma quando arriviamo all’ingresso ci godiamo uno dei più bei panorami che si possano immaginare. Penso alla prima volta che sono stato qui e di come sia stato folgorato dalla bellezza di questo luogo: quando sono uscito dalla traversata PE-Isabella, proiettato qui dopo un’indigestione di emozioni, fatica e buio. Mi ricordo quell’immagine della gusela scolpita nell’azzurro del cielo autunnale e la rivedo oggi ancora nitida e irrazionale come i sogni a cui fa da guardiana.


 Abisso Bluette Foto: Francesco S.
Con gran calma ci sistemiamo, mangiamo qualcosa e poi ci infiliamo per vedere di proseguire l’esplorazione del ramo Michele. Tranquilli arriviamo alla cordina che risale e tra concrezioni e  vaschette di pisoliti arriviamo alla stranissima sala dove era terminata l’ultima esplorazione. Effettivamente una galleria sembra occhieggiare in alto: basta risalire una paretina di qualche metro. Ci fermiamo un attimo per guardarci intorno: Mauro e Cesco si infilano a verificare eventuali prosecuzioni alla base della sala, io invece mi butto su, effettivamente la roccia non è un gran che ma in un attimo sono all’imbocco della galleria e sembra andare, ma poi sembra stringere … sento le voci degli altri e gli dico di salire: mettiamo giù una cordina e poi siamo tutti sopra. Un passaggio tra i massi e … la galleria sembra esplodere in un freatico davvero notevole, ma purtroppo la solita faglia la fa chiudere inesorabilmente. Ci guardiamo intorno un po’ delusi in cerca di qualche passaggio ventoso, ma niente, iniziamo così a rilevare, e tra un tiro di poligonale e l’altro Mauro becca anche un divertente diverticolo che immette in una diaclasi che però non da alcuna possibilità di prosecuzione.


 Abisso Bluette Foto: Francesco S.
Niente da fare nemmeno da questa parte! Con Isabella può bastare così per oggi e ritorniamo all’uscita pensando già al Bluette e a cosa ci riserverà per l’indomani. 


Chiudiamo la serata col fuoco nel cavernone di isabella, due salsicce, e poi dentro ai sacchi con le luci di Belluno che sembrano a due passi da noi, ma infinitamente distanti.


Il risveglio è come al solito condito dal racconto dei sogni allucinati di Mauro e dalla pigrizia che nemmeno un  nescafè cattivo come la morte riesce a scacciare via dai nostri sottotuta.


Poi siamo all’ingresso del Bluette  che non si smentisce e sembra divertirsi a mostrarci i tasselli di un puzzle mescolati  in una scatola di buio ghiacciato e il  cercare di ricomporli è un giochino davvero interessante, ma per niente facile.


Pezzi di gallerioni freatici da manuale, frane, meandroni, faglie, sale di crollo, riempimenti, aria che si intrufola chissà dove e ghiaccio, tanto ghiaccio.


Scendiamo lo scivolo d’ingresso e io e Mauro rileviamo, mentre Cesco sistema un po’ di armi e ruma in giro, ci troviamo ad arrancare tra cunicoli franosi e salette ghiacciate ed è davvero impagabile rilevare strisciando sul ghiaccio, poi anche il disto ne ha abbastanza e decide di scendere da solo un toboghino ghiacciato per tuffarsi in una pozza d’acqua … purtroppo funziona ancora e ci tocca continuare: ma qualcuno ci aveva detto che nel Bluette c’erano gallerioni, meandri… sarà!


Quando ci ribecchiamo con Cesco scopriamo che, in effetti, la grotta vera è un’altra,  fatta davvero di meandri e gallerie di dimensioni molto interessanti.


Rileviamo ancora ma con spirito completamente diverso, facciamo qualche foto, e ci dedichiamo finalmente un po’ all’esplorazione: becchiamo un bel meandro che ci spedisce su ambienti ancora strani e molto vicini all’esterno come ci indicano delle ossa di qualche grosso animale arrivato lì giù chissà quando e chissà da dove. Raggiungiamo altri livelli di gallerie che sembrano davvero buttati lì a caso, Mauro si mette ancora alla prova con altri divertenti diverticoli … e poi ci infiliamo oltre il passaggio ventosissimo della galleria terminale.


Qui è ancora più strano!…l’aria si perde in un cunicoletto, c’è un piccolo arrivo d’acqua, ma la cosa più strana è che si sente un rumore ritmico che sembra quasi un respiro! Acqua? Aria? Bluette che dorme? Mah…


È comunque già ora di uscire e rientrare alla base di Isabella dove ci godiamo un’altra splendida notte fuori dal mondo: vediamo le luci li sotto, ma abbiamo ancora negli occhi il buio, sogniamo di inseguire le infinite vie che scorrono dentro alla piana di Cimia, immaginiamo freatici enormi che ci portino dritti dritti nel cuore dei Piani Eterni, poi i suoni della notte ci portano via, si intrufolano nei nostri sacchi a pelo e ci accompagnano fino a mattina.
Abisso Bluette Foto: Francesco S.
 Ed è già ora di rientrare, di iniziare la lunga strada verso casa e verso la civiltà; a Intrigoss l’ultimo sguardo alla piana, all’ingresso del Bluette,alla grande mughera ancora da battere e ancora immaginiamo l’enorme reticolo di gallerie nascosto lì sotto. Dall’altra parte della valle la gusela, immobile come sempre, sembra leggere nei nostri pensieri e sorridere, ma solo per un attimo,poi torna seria a custodire i tesori e i segreti rinchiusi in quel mondo di buio e pietra.


Poi scolliniamo e di nuovo la luce del sole riempie i nostri occhi.

ciccio

venerdì 20 maggio 2011

Diario di una sopravvissuta

Castel sotterra
1° Uscita: 
    Grotta suborizzontale
La mia idea di grotta suborizzontale è ben distante dalla realtà. Torno a casa con le ginocchia nere e una domanda che gli istruttori mi hanno posto a pranzo che mi riecheggia nella mente: perchè mi sono iscritta?




Palestra speleologica “Cogoeòn di Valgadena”
2°Uscita:
    Prima palestra
Il mio soffrire di vertigini si fa sentire...è inutile che mi dicano che i materiali mi reggono...sono sempre contro parete con le mie povere ginocchia...torno a casa comunque con meno lividi e mi addormento cercando di autoconvincermi che la prossima palestra sarà il momento del mio riscatto.





3°Uscita:
    Seconda palestra
La mattina scorre veloce tra le risate e con il pomeriggio mi illudo completamente che effettivamente questa palestra possa essere il momento del mio riscatto. Torno a casa con lividi ma completamente soddisfatta di me stessa.





4°Uscita: 
    Prima grotta verticale
Torno a casa completamente soddisfatta e orgogliosa di quello che ho fatto e comincia a balenarmi l'idea di continuare...forse bastava veramente aver fiducia in me e darmi la possibilità di dimostrarmi che anch'io posso arrivare agli obiettivi che mi pongo.

5°Uscita: 
    Seconda grotta verticale
Nonostante i lunghi periodi fermi e il pranzo mai arrivato torno con pochissimi lividi e mi addormento con una sensazione di benessere.

Seconda grotta verticale : Dinosaurio


Rifugio speleologico di TaipanaArticolo su 

Il Friuli.it

Scoprendo L'Abisso di Vigant

Ultima uscita
        La verità è che non vorrei tornare a casa nonostante la fatica della grotta. E tra un tiro alla fune, una partita di rugby e un pranzo tutti insieme rifletto e capisco non solo perchè mi sono iscritta ma anche perchè è nata la pazza idea di continuare..........

E dopo qualche giorno apro facebook  e trovo un po' di foto e guardandole scoppio a ridere. Abbiamo cominciato come perfetti sconosciuti e col terrore di non riuscire come volevamo. Eppure ora che è finita sembra così strana quella paura.

Ci siamo ritrovati sporchi e pieni di lividi, infreddoliti e bagnati ma sempre più convinti di noi. E in troppo poco tempo siamo arrivati alla fine di questa avventura (o all'inizio di una nuova ?) ed è un dolce dolore ritrovarsi a pensare quanto ti mancano le grotte, i volti dei tuoi compagni e istruttori...e non riesci a cancellare quelle sensazioni di pace, orgoglio e soddisfazione che ogni uscita ti lascia scoprendo che non le puoi sostituire. E continua a mancarti tutto questo, anche e soprattutto nei momenti più strani fino a  non credere che possa essere proprio così.


Castell Sottera
A volte penso che mi piacerebbe rivivere tutto  dall'inizio ma, poi, mi rendo conto che come ogni miglior cosa è giusto che il corso sia giunto alla fine  e che di questo mi rimanga un ricordo perfetto e disarmante in modo che, ogni volta che riguarderò queste foto mi ritroverò a sorridere rivivendo con la mente questi momenti con un filo di nostalgia ma sempre più convinta di aver fatto la scelta migliore, per me stessa, iscrivendomi.


Cena fine corso XXXVIII: Biblioteca CLAC - Gruppo Speleologico Padovano CAI

Grazie ragazzi, siete fantastici!è merito vostro se ho potuto pensare e scrivere tutto ciò!
Bea..!

domenica 15 maggio 2011

The dark side of the world

Tanti pensieri mi hanno fatto compagnia in questo mese e mezzo: “chi me l’ha fatto fare”, fango , fatica fisica, acqua gelida, freddo da battere i denti, sete, paura, sconforto, scleri vari sono stati parte integrante dell’avventura.

Allora sorge spontanea la domanda: “ perché ti sei iscritta al corso d’introduzione alla speleologia?”. Domanda che non solo mi hanno posto parenti, amici e istruttori, ma che io stessa mi sono fatta più volte, soprattutto durante la risalita dai – 200 m in Genziana (penultima uscita del corso). Sinceramente una risposta esauriente non me la sono ancora data, ma pian piano attraverso le 7 lezioni teoriche e le 7 uscite pratiche un mio pensiero me lo sono decisamente fatto. Partiamo dall’inizio. Sarà stato da più di un anno che pensavo di iscrivermi al corso, pur avendo un concetto molto distorto di cosa fosse la speleologia, ma arrivata a marzo… panico!! Mi iscrivo o non m’iscrivo?

Basta! In preda ad uno scatto volitivo e alla poca conoscenza di ciò a cui andavo in contro, mi sono presentata alle iscrizioni in sede C.A.I.. Ebbene sì era giunta l’ora di smetterla di essere una pappetta estrema e iniziare a cambiare… e che cambiamento!!! Io, impedita in tutte le attività fisiche, mi sono lanciata in questa impresa e ne sono uscita un po’ ammaccata, ma decisamente vittoriosa! Spinta dalla passione per la Terra era ora di entrare in diretto contatto con essa ed ammirare quel mondo sotterraneo ancora ignoto ai più che, grotta dopo grotta, lezione dopo lezione, ho iniziato a conoscere ed apprezzare.

Così in questo mese e mezzo l’andare per grotte è diventato l’appuntamento fisso che aspettavo e il tutto è stato condito da un bel gruppo che tra istruttori (e non) e corsisti ha rallegrato sia i momenti in grotta che quelli fuori, alternando un’atmosfera professionale a punte di pura goliardia. Si ok, e quindi? Bella compagnia, bei posti, fatica fisica accettabile e poi? Queste caratteristiche si trovano in molte altre attività, quindi perché proprio speleo? Cosa contraddistingue il mondo ipogeo a tal punto da renderlo unico? Cosa mi ha spinto a tornare ogni settimana al corso?

La grotta porta all’esplorazione prima di tutto di se stessi, nonostante io non sia mai stata sola laggiù, ho avuto l’occasione di passare momenti a contatto con il mio io. In mezzo agli altri, ma in sintonia con me stessa, con le mie emozioni. A questo proposito, all’ultima lezione, la testimonianza virtuale di uno degli istruttori, ma ha lanciato alcuni spunti di riflessione. Francesco diceva che siamo noi a crearci la grotta e che questa vive delle nostre emozioni. Penso sia questo un po’ il succo della speleologia e che la ricopre di fascino. Senza gli speleologi le grotte ci sarebbero ma non esisterebbero e questo mondo celato, direi quasi per fortuna, alle grandi masse fa emergere la parte più profonda ed emotiva di noi e la grotta stessa vive di noi e con noi.

 ....perché proprio speleo?
 
Una delle sensazioni più ricorrenti è stata quella che il tempo quasi si fermasse, anzi scorresse con leggi diverse e inoltre mi sembrava di staccarmi un po’ dalla vita di tutti i giorni, che pur bella che sia, porta con sé numerose preoccupazioni e la grotta dà la possibilità di portarle dentro con noi e di lasciarle in fondo ai pozzi finali o di “parcheggiarle fuori” e se si ha voglia di recuperarle all’uscita, perché se no così appesantiti dalla propria quotidianità come si fa a risalire in superficie? Con l’uscita finale in Abisso di Viganti si è concluso il corso, che mi piace definire come “rito d’iniziazione”, che penso mi porterà a qualcosa di più grande.

Infine sento di rivolgere un potente grazie a tutti e che altro dire … il lato oscuro della Terra prende parecchio!
CAVE ROCKS _\--|
Elisabetta -brian-

sabato 9 aprile 2011

Progetto "Padova Sotterranea"

Nel marzo 2009(*) l'Associazione Comitato Mura di Padova e il Gruppo Speleologico Padovano CAI hanno presentato agli allora assessori ai Lavori Pubblici - Edilizia Munumentale, Luisa Boldrin, e alla Mobilità e al Verde Pubblico, Ivo Rossi, ottenendo l'approvazione di entrambi, il progetto Padova Sotterranea: le mura, avente come obiettivo la ricerca, l'esplorazione e il rilievo sistematici degli ambienti ipogei, in parte ancora inesplorati, del sistema bastionato di Padova e più in generale delle strutture relative alle opere della difesa, comprese quindi le mura medievali e il castello, senza escludere altre strutture sotterranee urbane. Del progetto è stato informato anche il Sindaco Flavio Zanonato, che ha espresso il suo apprezzamento per voce dell'assessore Rossi.
Il progetto non comporta costi per la Pubblica Amministrazione, se non per limitati interventi di scavo, debitamente autorizzati e scientificamente documentati, ove necessari per poter accedere agli ambienti individuati. L'Amministrazione potrà così acquisire un patrimonio di dati e di conoscenze che verrà riassunto in una "carta delle strutture interne e sotterranee", corredata di rilievi e documentazione fotografica, che rimarrà patrimonio della città.
I primi risultati delle ricerche, già iniziate in via sperimentale a fine 2008(**), sono illustrati nella presentazione qui sotto (a cura di Adriano Menin). Di recente, cogliendo l'occasione dei lavori in corso a porta San Giovanni, è stata poi effettuata una prima esplorazione di quanto rimane della casamatta della cannoniera che affianca la porta a sud, in vista di una sua eventuale liberazione dai detriti che l'hanno occlusa. Maggiori dettagli su questa ed altre esplorazioni già effettuate o in corso saranno resi pubblici una volta completate le relative documentazioni e opportunamente salvaguardati gli ambienti.
(*) prot. 71620 del 16.03.2009
(**) nell'ambito della convenzione in atto fra Comune di Padova e Comitato Mura

 Fonte: http://www.muradipadova.it/lic/padova-sotterranea.html