giovedì 22 gennaio 2009

Andrea Gobetti a Padova



Nell'ambito delle serate organizzate per il 2009 dalla sezione CAI di Padova, il 20 febbraio ci sarà un appuntamento con Andrea Gobetti . Le serate si tengono a Padova, alle ore 21 presso l'Auditorium Modiglioni, via Delù, Padova (a 5 minuti dalla stazione ferroviaria. L’ingresso è libero. Per ulteriori informazioni visitate il sito www.caipadova.it , o scrivete a gruppospeleologicopadovano@gmail.com




Durante l’incontro con Andrea, verrà proiettato il film “La lunga notte”. Il film è la storia vissuta in prima persona dai soccorritori del Corpo Nazionale del Soccorso Alpino e Speleologico che sono intervenuti nella grotta di Piaggia Bella (Alpi Marittime) per soccorrere uno speleologo croato con un intervento di soccorso durato 5 giorni. Non solo una cronaca degli avvenimenti ma anche una testimonianza del coinvolgimento umano ed emotivo vissuto dai soccorritori del CNSAS.

Appuntamenti al Buio 2009: Progetto Supramonte




Progetto Supramonte. L'esplorazione sarda del più importante sistema carsico d'Italia.
Venerdi 30 gennaio, ore 21. Club Sommozzatori , Via Cornaro 1, Padova.

Appuntamenti al Buio



Anche per il 2009 il Gruppo Speleologico Padovano CAI vuole offrire a tutti l’occasione per addentrarsi nelle profondità della Terra.
Vi è un mondo imprigionato nelle pieghe della terra, raschiato dalla trasparenza dei suoi abitanti, corroso dalle mille lacrime che lì vagano. Un mondo che racchiude il significato di ogni vita, un mondo che luce non brama, le cui parole diventano brividi sulla pelle; è in questo mondo che intendiamo guidarti, sperimentando le forme più oscure della paura, strappando a te stesso la forza per andare avanti, passo dopo passo, cunicolo dopo cunicolo, in costante ricerca del buio; più profondo di quanto possiate credere, più oscuro di quanto abbiate mai osato immaginare, questa è la speleologia…

Le serate avranno luogo a partire dalle ore 21 presso il club sommozzatori di Padova, via Cornaro 1, 35128 Padova. Ingresso Libero.

30 gennaio Progetto Supramonte. L'esplorazione sarda del più grande sistema carsico d'italia

11 febbraio Pozzi di luce. Abisso Gofredo, l'undicesimo menomille italiano


27 febbraio Dentro le miniere di Valle Imperina. Storia di una valle e di una comunità con oltre 500 anni di tradizione mineraria

mercoledì 21 gennaio 2009

Là dove il sogno è pieno d’acqua

Siamo dovuti andare in cerca di avventure, perchè non riuscivamo più a viverle nei nostri cuori...
[Re Artù ai cavalieri della tavola rotonda]


Fontanon della Stua: la porta bassa di quel sogno che pochi stolti, non paghi di vivere le avventure nei loro cuori, chiamano con nomi oramai famigerati: Locanda del Bucanieri, forra dei Poeti, Pozzo di Capitan Uncino, Halloween, Isabella, Trilly e su, su, nome dopo none, immagine del sogno dopo immagine da sogno, tutte nel contempo reali ed irreali, fino a quella voragine, 1400 metri e parecchi chilometri di oscurità più in alto, sulla piana dei Piani Eterni, il cui nome è PE 10.
Un capo del mio filo d'Arianna è legato vicino ai miei fidi, il resto è qui, nello svolgisagola che tengo in mano, e piano piano si stende lungo la galleria.
20 metri leggo sulla bandierina della sagola.
20 metri si svolgono per il semisifone e quel minimo di galleria semiallagata che porta al sifone vero e proprio dove mi trovo.
Ora sono lì, una spanna sott'acqua.

Le torce sul casco tagliano il buio che da almeno dieci anni nessuno viola più.
Il nervosismo assoluto, quasi terror panico, di cui ero prenda fino ad un attimo fa, è sparito e, finalmente calmo, respiro lento e profondo.
La galleria davanti a me prosegue abbastanza larga ma bassa e sembra del tutto indifferente al fatto che qualcuno sia venuto a disturbarla dopo tanto tempo, a cercare di percorrerla, a sognare infiniti spazi dì là ed attraverso di lei.
Pochi metri dietro le mie spalle Cesco, Giulio, Marco, Giulia, Marta e Francesco sono già a guardare gli orologi. Ne sono certo: "Se ritardo più di un ora a riemergere, andare pure a chiamare qualcuno per ripescarmi..."
E' tempo di sagolare come dio comanda, non come ho fatto fin'ora.
Questo è il sifone vero.
Qui se ci si impiglia ci si può far del male serio.
Qui la sagola può seriamente tirarti fuori dagli impicci, guidarti fuori nell'oscurità e nell'acqua torbida.
Decido di stendere la sagola a destra, in basso come da manuale.
La fisso con un elastico ad un sasso un metro sotto il pelo dell'acqua accanto alle altre due: il cavo elettrico che è partito assieme alla mia 20 metri fa e a un cordino bianco e rosso che parte proprio da qui.
Quell'improbabile sagola/cavo elettrico sapevo che l'avrei trovata, me lo aveva detto Alessio, l'ultimo ad essere stato qui, e per lo stesso motivo so anche che più avanti la troverò che passa sotto a dei e massi che le sono finiti di sopra dopo che qualcuno l’ha stesa.
Dell'altra sagola - altrettanto improbabile - un cordino da ferramenta da 6 con le bandierine fatte con le targhette in plastica dei portachiavi, non so nulla.
La galleria è abbastanza comoda; sarà un 2x1,5, scende in leggera discesa e ci si nuota bene.
Faccio una decina di metri e fisso di nuovo il mio filo.
Quello da 6 è sparito, strappato qualche metro fa; il cavo elettrico scompare e ricompare da sotto dei sassi da dieci e più chili: quando la risorgenza è in piena qui dev'essere proprio un bel ballare!
Fortuna che quando è in piena la risorgenza non è assolutamente immergibile e nessuno ci si troverà mai in mezzo!
La mia mente è lucida, di quella lucidità particolare, fredda e razionale, che sostituisce il mio nervosismo cieco quando ormai sono in acqua ed ascolto il mantra a regolare delle bolle espulse dall'erogatore.
Fredda e razionale registra tutti i particolari attorno a me e mi impone di sagolare con calma, respirare con calma, procedere lentamente e con circospezione.
Ma il cuore d'esploratore che ho in petto fugge lontano, davanti a me, s'incunea e scruta nelle tenebre appena oltre il fascio delle mie torce…
Ora il laminatoio curva un po' a sinistra, tendo un po’ il filo d'Arianna, lo fisso e proseguo.
Riappare la sagola in tessile col suo capo strappato e filaccioso; il cavo elettrico compare e scompare da sotto e dietro i sassi, spelato e lesionato in più punti.
40 metri.
La sagola da 6 è sparita, il cavo passa sotto a un sasso particolarmente grosso.
Qui e dove dev’essersi fermato Alessio, temendo per l'instabilità del soffitto nel timore che qualche blocco, staccandosi, gli finisse addosso.
Guardo bene tutto attorno e all'attività inconscia della mia mente che registra e pondera si sovrappone anche quella coscia.
La galleria mi pare abbastanza stabile, tocco il soffitto il più punti, lo percuoto – perfino - con qualche debole pugno subacqueo.
Avanzo ancora.
Forse qui sono il primo….
Il cuore d'esploratore esulta: un sogno di buio davanti a lui.
La mente cerca di tenerlo a bada, tenta di non far scappare il corpo avanti ad inseguirlo ciecamente.
50 metri.
Ho frazionato un paio di metri dietro le mie pinne.
Due massi particolarmente grossi ed alcuni sassi più piccoli ostruiscono la galleria lasciando solo un piccolo passaggio.
Molto piccolo.
Mi avvicino, spingono la luce delle torce di là... la galleria prosegue...
però è stretto...
Il cuore è già di là; la mente invece mi impone di posizionare bene il mio filo d'Arianna.
Cerco un sasso.
Prendo un elastico della giusta misura.
Bocca di lupo sulla sagola.
Elastico attorno al sasso.
Sasso lì a destra, dove ci sono solo pochi centimetri di spazio, in modo che la sagola sia tesa, abbastanza vicina da poterla seguire ed abbastanza lontana perché non ci si possa incagliare.
Infilo il braccio di là e depongo lo svolgisagola oltre, dove la galleria torna ad allargarsi.
Ora tocca a me.
Il petto a raschia su i sassi, le bombole suonano come campane battendo contro il soffitto.
Non passo.
È troppo piccolo.
Sono contrariato, ma mi ritiro, arretro.
Il secondo erogatore si incastra, l'elastico che lo trattiene al mio collo si tende.
Avanzo qualche centimetro, lo libero, torno a ritirarmi.
Anche il corrugato del GAV sta per incastrarsi, ma lo libero in tempo.
Sono fuori.
La mente combatte con cuore.
Guardo gli strumenti: -6,2; 17 minuti.
17 minuti? Di già?
Ricontrollo.
Sì: 17 minuti!
Non pensavo di essere in acqua da così tanto.
Guardo meglio la strettoia, la studio, valuto come potrei passarla.
La galleria mantiene quasi tutta la sua larghezza ma lo spazio utile è poco più largo di me e della mia attrezzatura, là dove i due massi sono appoggiati uno accanto all'altro.
A spanne misuro l'altezza del passaggio: appena più di due spanne.I guanti in neoprene non mi consentono di stendere bene le dita: saranno 40 centimetri!
La affronto il modo più razionale: sposto tutti i sassi che riesco a spostare per guadagnare anche frazioni di centimetro, raccolgo erogatore, corrugato e manometri e li spingono di là dalla strettoia, oltre la mia testa, metto un braccio avanti, ne tengo uno indietro.
Un colpo di pinne: avanzo.
M'incuneo.
Gratto.
Non passo.
Mi ritiro di nuovo.
Per un attimo la mente mi ricorda che qui sono da solo, forse più solo di un astronauta durante una passeggiata spaziale: ma il cuore ha la meglio!
Torno dentro.
Clangore di bombole.
Stridore di strumenti e tuta sui sassi.
Di nuovo bloccato!
Il cuore urla: "Pinneggia come un forsennato, la forzi e passi!"
Sto quasi per ascoltarlo.
La mente mi ferma un istante prima: " Che cavolo stai facendo, idiota!"
Torno indietro.
I miei amici mi aspettano 50 metri ed un milione di anni luce indietro.
La mente mi lascia uno scampolo di speranza: la convinzione che tornando con le bombole ai fianchi e magari con un piccolo piede di poco potrò portare il mio cuore e le mie luci oltre la strettoia.
Mi giro e ricomincio a bobinare il mio filo d'Arianna.
Decido di bonificare il sifone dalla sagola da 6 che, rotta in un paio di punti si trova a fluttuare pericolosamente per la galleria.
Ripercorro a ritroso il laminatoio e sbuco dall'acqua.
Contemporaneamente, lancio un grido agli altri per informarli che tutto OK e guardo gli strumenti, -6,2 m, 21 minuti.
Faccio a ritroso il semisifone e ritrovo Marco e Francesco che mi aspettano nell'ultimo posto dove si può restare relativamente (gran poco invero) asciutti.
Mi chiedono com’è stato di là.
Mi aiutano a liberarmi dal bombolame e dalla robaccia che ho addosso.
Sorrisi sui loro volti.
Strisciamo fuori e, dove la galleria s’allarga: Giulia, Marta, Giulio, l’atro Francesco…
Altri sorrisi.
Un sorso di brodo caldo.
Il racconto di come prosegue la galleria, della strettoia che m’ha bloccato.
Senza ritegno, chiedo subito a loro se gli va di tornare, tra qualche settimana, con un’attrezzatura leggermente diversa…
Cerco di essere i loro occhi là sotto, di raccontargli tutto.
Cerco di trasmettere loro, tra una battuta e l’altra, l’esatta forma nella quale prosegue il sogno nel buio cuore della montagna, il nostro sogno.
Hanno il diritto di sapere com’è. Ne hanno di certo più di quanto ne abbia io: hanno sudato, imprecato e sofferto di più di me là su, sulla piana dei PE, in questi anni.
Ne hanno il diritto perché anche questa volta si sono sbattuti un intero giorno tra auto, neve, carichi pesanti, teleferiche sul Mis, lunghe attese!
Sbaracchiamo e insacchiamo tutto e pian piano scendiamo verso le auto.
Un attimo prima che, scendendo, l’ingresso torni a nascondersi ci giriamo a salutare la grotta: “Ci vediamo presto, caro il nostro Fontanon….” e non suona come una minaccia, ma come una promessa perchè non c’è modo di arginare i cuori di coloro che sognano, che esplorano, che amano.
Uno speciale ringraziamento a Giulio, Giulia, Marta, Marco, Francesco, Francesco per aver condiviso con me l’avventura; Alessio e Beppe per i consigli e l’appoggio tecnico e morale.

Salvatore

giovedì 8 gennaio 2009

Neverland

E’ da cira 9 ore che siamo dentro. 9 ore di corde che scorrono nei nostri discensori, 9 ore di gallerie che fanno sudare e imprecare, poi finalmente appare come un miraggio la Locanda. Tenda, stoviglie, materiali accuratamente riposti, morbida sabbia come pavimento, un po’ alla volta tutto compare illuminato dai fasci azzurri dei nostri led. Sono stanca e ho sudato per trasportare il mio sacco, che avrei voluto più volte trascinare selvaggiamente e lanciare incurante del contenuto. Ma dentro c’è la cena di stasera e la colazione di domani e così ho trattato il pesante tubolare con tutto il riguardo possibile. Eh già, tra pochi minuti questa Locanda comincerà ad animarsi. Questo luogo che sonnecchia perennemente nel buio tornerà per pochi giorni a vivere, a ristorarci e accogliere i nostri racconti di esplorazioni e rilievi, le nostre chiacchiere goliardiche e triviali.
E’ la prima volta per me quaggiù. In tre anni di campi in Piani Eterni quante volte ho sognato le esplorazioni fatte dai compagni più esperti.. quante volte ad ascoltare rapita i loro racconti e tentare di dare un immagine ai posti da loro descritti.. Locanda dei bucanieri..Galleria dei Cinghiali.. Forra dei poeti.. Isola che non c’è.. questi nomi sui quali fantasticavo erano solo parole sfuggenti, sogni che non riuscivo ad acciuffare..
Apro il mio sacco.. bene, il vulnerabile brick di sugo al ragù non è esploso..tutto per ora sta filando liscio.



Dopo aver cenato e dormito la fatica è sparita e siamo pronti per metterci al lavoro. Scattiamo alcune foto sul pozzo Capitan Uncino, poi ci dividiamo, alcuni a fare altre foto, io Ciccio e Jonny nel ramo Happy tonno. Biospeleologi improvvisati raccogliamo degli strani sedimenti e quello che resta di un piccolo pipistrello, arrivato qui chissà quando e attraverso un percorso a noi ignoto. Tentiamo qualche improbabile prosecuzione, ma niente da fare, Happy tonno non ha niente di nuovo per noi. Disarmiamo e ci lanciamo in un altro ramo, visto solo in parte questa estate da Luca. Arriviamo fino ad una frana, passiamo alcune strettoie, ma la frana sembra non finire più, l’aria in parte si perde, e decidiamo di lasciar stare. Rileviamo, nel frattempo ci raggiungono anche gli altri. Sulla via del ritorno Cristiano e Francesco si infilano in una spaccatura e scompaiono. Quando riappaiono raccontano di aver percorso non so quanti metri.. qui sotto gli ambienti sono molto articolati, talvolta labirintici, e c’è ancora molto da capire.
Alla Locanda per cena il menu propone un bis di primi: gnocchi al ragù e risotto, il tutto con contorno di racconti e deliri di vario genere. Il mondo esterno ormai è lontano, anche più distante dei chilometri che ci separano dalla casera. Ci addormentiamo nei caldi sacchi a pelo. Domani ancora poche ore di lavoro, poi qualche ora di sonno ed è già ora di uscire.


Ultimo giorno: Marco U e Cris si sacrificano per l’ennesimo rilievo del ramo Bortolomiol, noi invece andiamo alla volta dell’Isola che non c’è. Questa zona è molto intricata e labirintica, ci sono moltissime diramazioni, alcune di esse in realtà sono solo collegamenti. Gira molta aria. Chi è stato qui in estate dice che in fondo il ramo chiude, ma noi, di fronte a tanto vento non ci crediamo. Francesco si infila in un laminatoio stretto e bagnato, dopo un po’ di tempo Jonathan lo segue. Io decido che per quel laminatoio due volontari sono più che sufficienti, e preferisco tornare indietro e vedere dove si è cacciato Ciccio, che è sparito da un po’. Lo trovo in una diramazione dove tira molta aria, impegnato in una risalita. Rimango una mezz’oretta a osservare, poi mi ricordo che sono le ultime due ore di esplorazione.. poi si torna indietro.. mi sento inutile, tutti stanno facendo qualcosa e io invece qui immobile a guardare. Mi ricordo che pochi metri indietro c’era uno sfondamento dove si intravvedeva una piccola galleria percorsa dall’acqua. Torno indietro, valuto.. interessante, ma senza corda, maldestra come sono rischio di sfracellarmi. Che palle. Non so che fare. Provo a seguire l’aria, che mi conduce ad un passaggio basso e in parte franato. Guardo avanti, c’è un meandrino da fare a carponi.. va bè, diamogli un occhio. Dopo pochi metri sento di nuovo freddo.. aria. Nel frattempo arriva Francesco: è tutto esaltato perché dopo il laminatoio hanno trovato di nuovo gallerie.. metri e metri.. che invidia.

Torniamo insieme nel meandrino: dopo una curva a sinistra si torna in piedi, c’è sempre aria.. andiamo avanti, comincio a divertirmi finalmente. Dopo un bel po’ di strada sentiamo le allegre risate della grotta.. per terra ci sono le impronte appena lasciate a Cesco e Jonathan, guadagnate a fatica in 60 metri di laminatoio basso bagnato... la grotta ha visto che mi annoiavo e ha voluto tirarmi in ballo come complice di questo scherzetto. Chiamiamo gli altri, ripercorriamo tutto fino in fondo.. diramazioni a lato.. pochi minuti, non c’è tempo..in fondo una strettoia, Ciccio toglie alcuni sassi, passiamo, c’è una saletta, poca aria, Ciccio si infila in un paio di strettoie..l’ aria si perde..pochi minuti..mi infilo tra alcuni massi in pieno delirio esplorativo, passo una fessura, sento di nuovo l’aria, davanti ho un laminatoio..tempo scaduto, bisogna rientrare al campo.

I bucanieri se ne vanno, le luci delle loro lampade sono sempre più lontane, rimane solo la penombra, poi il riflesso argenteo delle gocce d’acqua sulle pareti, poi il buio.

Giulia

giovedì 1 gennaio 2009

Via!


Via! Sotto la luna la brughiera è fosca,
rapide nubi hanno bevuto l’ultimo
pallido raggio della sera: via!
i venti che si adunano richiameranno il buio,
e la notte più fonda con il suo sudario
ammanterà le luci serene del cielo.

Non ti fermare! Passato è il tempo! Ogni voce
Grida: Su, via! Più non tentare
Con un’ultima lacrima la ritrosia della tua compagna:
l’occhio della tua amante, così vitreo e gelido,
non osa chiederti di rimanere; dovere e abbandono
ti riconducono indietro nella solitudine.

(Shelley, Stanze. – Aprile 1814)



Per qualsiasi reclamo prego inviare raccomandata alla Locanda del Bucaniere, c/o sistema dei Piani Eterni, comune di Cesiomaggiore, Belluno.

Non arriverà mai.

Il vento forte la sputererà indietro già alla piana di Erera, giù fino al Porzil. Lassù tutte le beghe, gli scazzi, le rotture, le invidie, le mail e le scartoffie, i telefonini e le chiamate, lassù non ci arrivano. Figurarsi dentro, in grotta.
Per qualsiasi problema sapete dove trovarmi, dove raggiungermi. Io sono nei Piani Eterni. Troppo lontano da tutto quello che puzza di esterno, io me ne vado via, in grotta, con gli altri.
Entriamo sabato, usciamo... boh, forse lunedì mattina, magari nel pomeriggio...
Ci aspettano tre giorni di rilievo, esplorazione, disgaggi; spit, bussole e levarini saranno le nostre fonti di gioia e di imprecazione, il ryobi il nostro compagno di garantite sventure.
Avanti con i lavori, alla ricerca di quell’uscita bassa che da così tanto tempo si diverte sulla nostra pellaccia. Potrebbe essere la punta buona, ma da tre anni a questa parte ogni punta è la punta buona, quindi probabilmente anche stavolta ce ne torneremo fuori senza ingresso basso, ma con la convinzione di essere a tanto vicini così da uscire dai versanti di dietro, verso pian di Cimia.
Chissà...
E allora anche la prossima estate qualcuno di noi sarà lì a coltivare gli stessi sogni e le stesse fantasie. Coltivatori di abissi.
Chissà...
Non importa, quello che conta sarà sempre farsi trovare al momento giusto, avere sempre la bottiglia in fresca, pronta per essere stappata: alla salute dei Piani Eterni e di tutti noi, alla faccia di tutto il resto.

Cris